I musei nei prossimi anni, snodi di un palinsesto territoriale

Una sintesi della riflessione sul ridisegno dei musei italiani, presentata a Forlì al convegno "La rete dei musei... lavori in corso" dello scorso 27 maggio

Michele Trimarchi - Professore di Economia della Cultura

Da qualche tempo si parla di musei, in misura e con attenzione maggiore che nel recente passato. Dopo anni di lamente-le sulla differenza di incassi tra musei stranieri - solo alcuni - e italiani - tutti insieme, addoloratamente - e di dispute giudiziarie sulla pertinenza delle gare ex legge Ronchey, la cronaca ne sta esplorando aree finora ignote.
Dall'estate del 2015 si è fatto molto rumore sulla questione dei nuovi direttori, selezionati con un bando internazionale (ne sta per arrivare un'ulteriore infornata) e insediati tra proteste e illazioni. A novembre il MAXXI di Roma ha ospitato la cerimonia di assegnazione dei premi per il Digital Think-In, una sorta di concorso per scegliere i musei italiani distintisi per innovazioni digitali nel loro percorso di visita o comunque in una fase della loro complessa filiera produttiva. Ad aprile 2016 il Capo del Governo ha inaugurato il nuovo allestimento del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, il cui enorme atrio è stato ridisegnato dallo studio ABDR con la consulenza creativa di Alfredo Pirri, che ha finalmente aperto alla vista esterna la parete della sala che ospita i Bronzi di Riace, violando la prassi condivisa (e benedetta dalle non poche vestali della cultura) di tenere segreto il contenuto dei musei. All'inizio dell'estate i dati della Fondazione Torino Musei e, quasi all'altro capo della Penisola, della Reggia di Caserta mostrano l'indiscutibile successo di un approccio orientato al territorio e alla sua comunità, ai canali di comunicazione e di coinvolgimento dei visitatori, alla volontà di non dare per scontato il ruolo simbolico e cognitivo di un museo, che comincia ad apparire sempre meno un contenitore protettivo e sempre più un crogiolo creativo e progettuale che dialoga intensamente con la società contempo-ranea.
Che questo abbrivio sia salutare per un settore che per decenni si è arroccato e ha cercato di restare in vita grazie a mostre temporanee di richiamo, pare evidente. Che l'occasionalità inevitabilmente sporadica dei fenomeni virtuosi esemplificati sopra non possa dipendere soltanto da un direttore demiurgico selezionato con un metodo certo meritocra-tico ma forse non così ragionevole come potrebbe servire, risulta altrettanto evidente.
Per il settore dei musei italiani non occorrono eroi o martiri; ci vuole un ridisegno di alcuni elementi di fondo che tuttora zavorrano l'azione di ciascun museo, cristallizzano i dogmi che continuano a reggerne la tattica, e soprattutto impedisco-no che i musei possano e vogliano costruire una strategia di medio periodo.
Le priorità sono piuttosto palesi, per quanto molti professionisti del milieu museale italiano si ostinino a cercare alibi in modo statico e attribuendo la responsabilità delle attuali questioni ai fondi limitati da una parte, e all'ignoranza della società insieme all'insensibilità delle imprese dall'altra. Ora, le colpe sono ecumenicamente diffuse, e per quanto possiamo immaginare che nessuno intenda danneggiare i musei italiani, dobbiamo prendere atto che tuttora manca un orientamento forte e chiaro verso un nuovo significato dei musei stessi, quanto meno prendendo atto dei radicali mutamenti che stanno avvenendo quotidianamente e sempre meno sommessamente, delle esperienze pur scomposte ma eloquenti di alcuni musei stranieri che non vanno certo imitati in modo pedissequo, ma magari studiati in modo non pregiudiziale per comprendere in quanti e quali possibili modi si può affrontare la stessa propria identità culturale in una fase storica di smantellamento di un edificio che sembrava massiccio e indistruttibile come il paradigma manifatturiero che fonda tutta la scala dei valori sulla misurazione comparativa di grandezze esclusivamente dimensionali.
Proprio da qui potrebbe partire un nuovo abbrivio che restituirebbe ai musei la propria missione di stimolare emozioni, pensieri, ragionamenti, arricchimenti, condivisioni, urgenze creative e coaguli critici attraverso la narrazione intensa, approfondita, ipertestuale ed eclettica di un patrimonio unico e infungibile.
In qualsiasi città e territorio che - caso del tutto normale in Italia - ospiti più di un museo la prassi condivisa consiste nella reciproca indifferenza, spesso nell'arroccamento renitente ai contatti, talvolta allo snobismo sprezzante nei confron-ti di ogni altro museo e istituzione culturale. Dimenticando piuttosto stupidamente l'assoluta inconfrontabilità dell'offerta culturale ciascun museo ritiene sé stesso migliore degli altri. Gli argomenti che si sentono di norma sono, non è un caso, dimensionali e finiscono per riferirsi al numero di visitatori, alle vendite di servizi, o al volume del bilancio. Basterebbe, per mettere a tacere una volta per tutte questi rantoli superbi, far notare che un dato assoluto ha ben poco significato, e che tanto il pubblico, quanto i suoi acquisti e il bilancio di un museo andrebbero interpretati lungo un arco temporale discreto. Le dimensioni di per sé non rappresentano certo un merito, al massimo richiedono una maggiore e più solida responsabilità.
L'ombra di Banqo, in questo caso, è l'ossessione della concorrenza, un grossolano luogo comune nel quale i musei non dovrebbero cadere, quanto meno perché li rende per definizione omogenei, meccanici e oggetto d'interesse da parte di consumatori che decidono in base al prezzo più conveniente. Se fosse concorrenza sarebbe esattamente così. Inoltre ci si dimentica, stranamente, che nessuno visita un museo facendo raffronti tra qualità e prezzo come quando si acquista una lavatrice, un telefono o un pacco di pasta, e che magari la decisione è sostenuta proprio dallo specifico patrimonio che vi è esposto, dalla mostra di un artista amato o ignoto, e - soprattutto - che se è vero, come sostengono gli econo-misti e conferma la nostra esperienza spicciola, che il visitatore è 'addicted' e pertanto accresce la propria esperienza museale a causa dell'esperienza precedente, è consequenzialmente vero che visitando gli altri musei a un certo punto della sua storia personale sentirà il desiderio di visitare anche il nostro.
La presenza nello stesso territorio di molti musei facilita, inevitabilmente, la visita al nostro.
Tempo e spazio dell'esperienza museale vanno dunque reinterpretati. Quanto il tempo suggerisce di sviluppare un disegno strategico che copra un orizzonte temporale sufficiente a verificare la relazione tra semina e raccolto (magari evitando le schegge di marketing convenzionale e la tensione ordalica di ogni attività intrapresa), tanto lo spazio richiede il superamento sistematico e percettibile dell'isolamento in spazi speciali e visibilmente dedicati a un pubblico di iniziati che non intende mescolarsi con la massa, con quella massa che affolla i musei nelle ormai diffuse 'notti' e li evita di giorno.
Il tema vale una sintetica riflessione: molti ritengono che la folla delle notti al museo dipenda dalla gratuità dell'ingresso, lasciando passare il segnale che i poveri non frequentano i musei e in fondo meritano questa sorta di elemosina in-kind per lasciarli divertire; la cosa somiglia tanto alla platea shakespeariana, che accoglieva plebei in piedi offrendogli l'opportunità di piangere la fine di Romeo e Giulietta insieme agli aristocratici che il teatro se l'erano costruito a spese proprie.
A ben guardare, e alcune rilevazioni empiriche sembrano confermarlo, il pubblico delle notti al museo entra sapendo che non incontrerà i dotti delle visite diurne, immaginando - e indovinando - che li guarderebbero con sospettoso disprezzo, che osserverebbero il loro muoversi da neofiti e finirebbero per scoraggiarne l'entusiasmo della scoperta (che poi dovrebbe essere il motivo più serio per visitare un museo).
Uscire dall'isolamento è necessario più che mai, ed è possibile solo con un cambio di passo che prenda le mosse dalla cultura stessa del museo; il territorio urbano e regionale è un solido palinsesto di contenuti e significati, i musei ne dovrebbero rappresentare gli snodi più fertili, purché accettino e costruiscano l'idea di attivare un reticolo fertile di connessioni, scambi e complicità tra di loro (e non si tratta necessariamente di acquisire un'etichetta, ma di agire insieme e in sinergia); di confrontarsi con le organizzazioni e le istituzioni del proprio territorio, cominciando dalle imprese più contigue (si pensi per tutte all'artigianato di qualità) ed espandendosi per comprendere i gruppi sociali, l'associazionismo e le istituzioni non culturali; di condividere servizi e risorse a monte, generando quella massa critica (nel gergo degli economisti, le economie di scopo) che facilita la produzione congiunta e ottimizza lo sforzo finanziario; allo stesso modo, di condividere progetti e azioni a valle, fronteggiando insieme questioni strategiche, relazioni esterne, promozione e formazione del pubblico in modo da condividerne lo sforzo e conseguirne congiuntamente i benefici.
È uno scenario che va costruito gradualmente e sperimentalmente, e che non richiede decreti o finanziamenti dall'alto, ma soltanto buona volontà, ragionevolezza e visione all'interno del sistema museale territoriale.

Appunti dai convegni - pag. 14 [2016 - N.56]

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