"Ho portato la sensualità della Romagna all'Expo

Il Direttore della Pinacoteca Comunale di Faenza a colloquio con Vittorio Sgarbi curatore della mostra "Il Tesoro d'Italia"

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca di Faenza

La mostra dedicata al Tesoro d'Italia nei padiglioni Expo di Eataly ha rappresentato per Vittorio Sgarbi l'impegno più forte degli ultimi mesi. "Dopo aver girato per anni come una trottola ogni contrada d'Italia - ha scritto sul Corriere della Sera Gian Antonio Stella - il critico ha potuto mettere finalmente a frutto la sua curiosità onnivora e insaziabile e la sua voglia di scovare 'quel' capolavoro abbandonato in un piccolo convento di montagna o nella sala da pranzo di un farmacista di provincia".
Il progetto della mostra sul Tesoro d'Italia parte infatti da lontano e si manifesta in modo chiaro per la prima volta nel libro pubblicato da Bompiani con lo stesso titolo dato alla mostra realizzata per Expo 2015. Uno studio dedicato "a stuzzicare e stimolare un interesse naturale, viscerale verso l'arte italiana" così come la mostra allestita ad Eataly è il museo che ogni grande città deve avere ed anzi è "il Louvre dell'Expo". L'idea di fondo spiegata da Vittorio Sgarbi è che "il tesoro artistico del nostro Paese è anche un tesoro economico. Per tutelarlo sono fondamentalmente due le armi da utilizzare: la conoscenza - che è preliminare - e la valutazione. L'opera d'arte non è fatta per essere tutelata e basta, deve essere goduta e proprio dalla possibilità del suo godimento un paese può trarre beneficio economico. Se un patrimonio artistico, che per sua natura deve portare profitto, di fatto non ne porta, qualcosa non funziona. Deve essere rivalutato e valorizzato appropriatamente. È questa l'importanza della valutazione".
Su questa idea di fondo, affiancata dall'affermazione che "l'arte si gode, come occasione unica e irripetibile" capace di appassionare, con l'opportunità della mostra si è innestata la nuova proposta della biodiversità applicata anche all'arte italiana. Con l'intenzione di proporre "per la prima volta un'esposizione di tutta l'arte italiana regione per regione per poter far emergere le peculiarità della produzione artistica di ogni pezzo d'Italia" e affermare l'Expo come un luogo dove si celebra anche la biodiversità italiana che non è solo agroalimentare ma anche umana, paesaggistica e artistica.
Il punto di partenza per questa nuova proposta, che consente un omaggio ad un grande maestro della storia dell'arte, è l'insegnamento di Roberto Longhi. Lo storico dell'arte infatti "articolava il principio della biodiversità nello studio della storia dell'arte, cercando di cancellare ogni pregiudizio sul prevalere dell'arte toscana (su cui era costruita la storiografia a partire da Giorgio Vasari) e riconoscere a ogni regione caratteristiche proprie e originali".
L'omaggio a Longhi è articolato anche in altre maniere e una di queste Vittorio Sgarbi la manifesta con soddisfazione relativamente all'allestimento delle due opere in mostra provenienti dalla Pinacoteca di Faenza. "Ho affiancato il bellissimo Biagio Manzoni con il Martirio di Sant'Eutropio a un'opera di Ferraù Fenzoni in cui è rappresentata una testa mozzata. Così quella testa mozzata di fianco al capolavoro di Manzoni è un richiamo, se non una ricostruzione, del delitto che caratterizza la storia di questi due artisti. Ho seguito lo studio di Roberto Longhi sul 'caravaggesco di periferia', dedicato al faentino Biagio Manzoni, ben documentato in Pinacoteca e in altre opere sparse nella città di Faenza".
La mostra ha dunque articolazioni più ampie di quelle di una semplice lettura delle opere. E questo aspetto lo conferma Vittorio Sgarbi citando la seconda opera in prestito dalla Pinacoteca Comunale: il San Girolamo di Donatello. "È un capolavoro del grande artista toscano realizzato durante o dopo il periodo padovano - afferma Sgarbi - e per questo l'ho messo in confronto alle opere venete in mostra. Una scultura di grandissimo valore che da sola rende importante la Pinacoteca faentina. Certo un'opera di cui qualcuno ultimamente contesta l'attribuzione, ma che a mio parere è più di Donatello che altre recentemente a lui attribuite come il Crocefisso di Padova. Opera che comunque affascina e vorrei avere tempo per studiarla attentamente".
La selezione di opere da esporre non è stata semplice. "Da una Pinacoteca come quella di Faenza si dovevano mettere in mostra altre opere. Ad esempio - continua Sgarbi - sarebbe stato bello esporre lo Scaletti, quella pala che attribuite ad un maestro anonimo e che è un bell'esempio di arte ferrarese. Inoltre ci sono le opere di Domenico Baccarini e qui avrei scelto quella bellissima donna disegnata a pastello tra i fiori che ben dimostra i legami di questo artista faentino, morto giovanissimo, con il simbolismo europeo".
"E poi come si fa a non inserire una scultura di Domenico Rambelli - si chiede in modo quasi retorico il critico d'arte, dandosi una doppia risposta -. Non posso certo togliere tutte le opere da un museo e d'altra parte una mostra come quella dell'Expo può servire ad aumentare la passione per l'arte e, speriamo, i visitatori dei musei, che devono trovare le opere quando visitano le sale". Il secondo motivo per cui non sono state chieste in prestito alcune opere si lega alla mancanza di spazi. "L'unica vera critica che si può fare alla mostra dell'Expo - aggiunge infatti Sgarbi - è quella dell'esposizione troppo fitta delle opere, ma è un limite dato dagli spazi disponibili". E una critica alla mancanza di spazi è rivolta alle condizioni in cui si è potuta organizzare la mostra di Eataly, che resta comunque un'occasione unica per vedere un panorama completo dell'arte italiana. Nel panorama, realizzato e sottoposto alla verifica della biodiversità, presupposto della mostra, le opere scelte confermano questo aspetto di complessità dell'arte italiana.
Non a caso a un altro museo della provincia ravennate, il Museo d'Arte della Città di Ravenna, Vittorio Sgarbi ha richiesto e messo in mostra due opere, in particolare due mosaici della Collezione Mosaici Contemporanei del Mar. La chambre turque di Balthus, dipinta tra il '65 e il '66, e trasposta in mosaico negli anni '90 da Pro.Mo., in cui la ricchezza materica e cromatica del dipinto sono esaltate da una varietà di paste vitree, materiali lapidei e terrecotte, e dove piccole tessere sono accostate a vere e proprie tarsie. Le montagne incantate di Michelangelo Antonioni, una delle opere a tecnica mista del celebre regista note come 'blow up', trasposta in mosaico nel 1997 da Alessandra Caprara e Silvana Costa sotto la direzione artistica di Renato Signorini: qui le tessere lapidee e in smalto, con movimenti ondulati della linea, animano il crinale e riportano a materia solida il paesaggio che nella sua opera Antonioni aveva smaterializzato.
"C'è certamente un'evidenza delle diversità territoriali in mostra - precisa infine Vittorio Sgarbi -. Prendiamo ad esempio la Romagna: si può verificare come i caratteri rappresentativi importanti siano presenti in Guido Cagnacci mentre Bologna trova rappresentatività in Guido Reni, quindi in aspetti che si differenziano molto da quelli romagnoli. La caratteristica dell'arte romagnola così rappresentata diventa quella della sensualità".
Tutto questo può portare a ulteriori riflessioni che partono dagli stimoli della mostra, ma di cui sono da ricordare altri aspetti che hanno prodotto anche forti critiche. Così Tommaso Montanari non ha esitato a definire Vittorio Sgarbi un trasfocatore di opere d'arte che va fermato. Non è mancato l'appello di alcuni storici dell'arte "convinti che non si debbano mettere a rischio opere fragili e difficilissime da spostare, straordinarie nel loro contesto e non in mezzo alla distratta frequentazione di turisti alla ricerca di quelle sensazioni eclatanti che l'Expo milanese promette". Critiche anche da Federico Giannini che definisce la mostra ideata da Sgarbi come un'applicazione all'arte del "concetto della grande distribuzione organizzata". Accostando quanto esposto al suo sponsor Eataly, il concetto viene spiegato affermando che "siccome si considerano i visitatori troppo svogliati per andare a vedere le opere d'arte nel loro contesto, e i buongustai troppo pigri per cercare ristoranti, trattorie e osterie dove si possano gustare i veri sapori tradizionali, si confezionano strutture senza personalità, valide sia a Torino che a New York, e ci si infila dentro un pot pourri di opere d'arte e piatti tipici".
Il contesto generale delle critiche alla mostra, che ha comunque portato bellissime ed importanti opere d'arte all'Expo, sembra dunque quello di un rifiuto totale e generalizzato della proposta. Più che un ritorno alle italiche fazioni contrapposte, in questa occasione, è forse opportuno ricordare da un lato l'unicità dell'esposizione universale in Italia e dall'altro accettare la sfida per proporre innovazione nell'ambito museale. Se infatti è giusto dire che gli istituti museali non possono essere riserve per mostre che "solo in minima parte" aumentano la conoscenza del patrimonio culturale, "mentre nel 90% dei casi si tratta di operazioni brutalmente commerciali", non va neanche dimenticato che i musei non possono restare fermi alla stessa immagine delle loro origini. Una immagine che in Italia è più ricca e articolata di altre nazioni e che può trovare proprio in una delle caratteristiche che più contraddistingue la realtà italiana, quella del legame con il territorio, un fertile terreno da coltivare. Ogni museo italiano ha un suo territorio di riferimento ma è il concetto stesso di territorio che è da cambiare. Vecchi confini, non solo amministrativi, vanno superati affermando nuove realtà che vadano oltre alle pratiche gestionali per arrivare alla progettazione e alla promozione di un patrimonio che è davvero unico e che può trovare nella cooperazione risorse e disponibilità altrimenti non più assicurate.
E di tutto questo anche la mostra sul Tesoro d'Italia all'Expo si sta dimostrando una valida vetrina, davanti alla quale è possibile sostare per vivere l'emozione e il godimento dell'arte.

Speciale Musei per Expo 2015 - pag. 12 [2015 - N.53]

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