Il disordine che crea

La Rete bibliotecaria al convegno "The art of invention" di EMEA_OCLC

Chiara Storti - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

David Weinberger, autore del famoso Elogio del disordine. Le regole del nuovo mondo digitale, è stato uno degli ospiti d'onore del convegno annuale dell'EMEA_OCLC (il Consiglio regionale dell'Online Computer Library Center che ne riunisce i membri provenienti dall'Europa, dal Medio Oriente e dall'Africa), tenutosi il 10 e 11 febbraio scorsi a Firenze.
Il filo conduttore delle due intense giornate di studi, The art of invention, ha ripreso uno dei temi cruciali del dibattito biblioteconomico attuale, ovvero quello della necessità di reinventare le biblioteche perché sopravvivano all'era digitale e al taglio dei fondi, portandolo però alle sue estreme conseguenze. Il messaggio è chiaro: i bibliotecari non devono solo reinventarsi e reinventare gli spazi delle loro biblioteche ma devono essere veri innovatori. La capacità di innovare, infatti, non solo tutela la professione ma apporta benefici sul lungo periodo e a una comunità più ampia. Un assioma valido in qualsiasi settore eppure, fino ad adesso, poco considerato dai bibliotecari italiani.
Verrebbe anzi da dire che la rivoluzione digitale si sia rivelata, negli ultimi anni, un ottimo alibi per l'immobilismo delle biblioteche dichiaratesi il più delle volte completamente impotenti davanti alla forza innovativa del mezzo digitale o che, nel migliore dei casi, hanno tentato - e ancora tentano - di trasformarsi in qualcos'altro. Il reinventarsi come centri sociali, laboratori, spazi di coworking e piazze del sapere non solo è lecito per le biblioteche pubbliche ma in gran parte auspicabile. Eppure, proseguendo ciecamente in quest'opera di trasformazione è assai probabile che davvero si arrivi a un punto in cui le biblioteche non serviranno più perché saranno troppo altro da sé. Si dovrebbe perciò ragionare sul fatto che i media tecnologici, e nello specifico quelli digitali, influenzano profondamente l'innovazione ma non sono necessariamente innovazione in sè, soprattutto per le biblioteche. L'innovazione, in un certo senso, è un cambiamento di atteggiamento nei confronti del mondo, è cioè qualcosa nella sua essenza di profondamente analogico, con cui qualsiasi tipologia di biblioteca, con qualsiasi tipologia di utenza, dovrebbe confrontarsi.
Come modificare questo atteggiamento? Innanzitutto accettando il disordine, la confusione, il caos: sia il disordine del digitale sia quello che potremmo definire "sociale", derivante dalla globalizzazione e dalla mobilità umana. Sembra un'impresa impossibile per delle istituzioni nate per mettere ordine al mondo! Oggi il mondo è troppo vasto e troppo sfaccettato per essere ordinato, la mole di documenti cresce in maniera esponenziale e innarestabile perché possa essere gestita con i metodi tradizionali. Oggi non possiamo mettere ordine e soprattutto non possiamo realizzare un ordine solo. Possiamo però sfruttare le potenzialità del disordine e della serendipità che, per dirla alla Weinberger, "scalano" - scale - il significato delle cose, ovvero aggiungono ulteriori "sensi" (metadati) a quelli più facilmente e immediatamente individuabili, grazie alle diverse sensibilità di chi entra in contatto con quel dato: il bibliotecario, l'utente o l'utilizzatore a qualsiasi titolo.
Disponiamo di una grandissima mole di dati e metadati e di infinite connessioni - link - ma non sempre ne comprendiamo il significato, non sempre riusciamo a trasformare le informazioni in conoscenza e la conoscenza in comprensione, quest'ultima possibile solo attraverso una "conversazione".
Ed è esattamente nell'aiutare questa comprensione che la biblioteca pubblica dovrebbe trovare il proprio ruolo. Il vero cambiamento auspicabile per le nostre biblioteche non è, o non soltanto, quello di imparare a sfruttare il digitale e a concorrere con esso, ma è quello di riuscire a diventare il "centro di significato" di una comunità - center of community meaning - dove le conversazioni siano facilitate e incoraggiate.
Alla fine del suo intervento David Weinberger ha voluto toccare anche la questione della privacy: per evitare che i timori, spesso eccessivi, sulla tutela dei dati rischino di divenire un forte deterrente di queste conversazioni, la sua regolamentazione dovrebbe avvenire, quanto più possibile, a livello locale in base alle reali esigenze di una comunità, non soltanto con dettami imposti dall'alto. Ecco quindi che i bibliotecari dovrebbero essere sempre più dei "gestori di metadati": in senso stretto, innovando i metodi di catalogazione dei documenti e di interscambio dei dati e, in senso lato, come facilitatori di conversazione e creatori di significato intorno ai dati stessi.

La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2015 - N.52]

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