Alla ricerca del museo... "very bello"

Verso un sistema museale regionale integrato: luci e ombre del recente riassetto del MiBACT

Maria Pia Guermandi - Istituto Beni Culturali

Il punto di forza dell'ultima riorganizzazione della macchina ministeriale, sia da un punto di vista mediatico, che di impatto sulla struttura del sistema di tutela, è senz'altro l'ambito museale. Nel tentativo di colmare un ritardo ormai secolare rispetto alle più avanzate realtà europee, il DPCM n. 171/2014 esprime i propri elementi di innovazione quasi esclusivamente sulla ridefinizione del comparto dei musei statali, fino a questo momento istituzioni prive di autonoma consistenza giuridica, ma semplici uffici incardinati nelle Soprin-tendenze territoriali, fatti salvi i quattro poli museali di Firenze, Roma, Venezia e Napoli.
Tentativo più che necessario che supera, meritoriamente, l'ormai stanco ritornello del legame fra museo e territorio, dogma sul quale si è mantenuto nei decenni l'attuale assetto. Concedere a istituzioni complesse come quelle museali un'autonomia gestionale e scientifica non significa - non deve significare - affatto una scissione di quel continuum che caratterizza il nostro patrimonio culturale, sinergia che potrà essere garantita da forme di coordinamento del tutto naturali all'interno di una stessa amministrazione, vale a dire, appunto, il MiBACT.
Ugualmente positivo, seppur determinato più da considerazioni economiche che altro, può essere considerato anche il doppio binario che governerà il sistema museale nel suo complesso: da una parte una ventina di musei autonomi, scelti - con qualche evidente svarione - per la loro importanza culturale a carattere nazionale o internazionale, dall'altra i poli museali che riuniranno, regione per regione, i musei statali non dotati di autonomia, chiamati a costituire un sistema territoriale omogeneo, almeno per quanto riguarda la gestione.
Qui però finiscono gli a-spetti positivi della "riforma", perchè se l'obiettivo di fondo è condivisibile, gli strumenti messi in campo per realizzarlo appaiono insufficienti, poco coerenti e talora contraddittori.
In primo luogo, la riforma sconta il vizio d'origine di essere incardinata - e fortemente limitata nella sua portata com-plessiva - in un provvedimento di spending review: genesi che la inquadra nel fin troppo lungo elenco delle riforme a costo zero di dubitabile efficacia. La mancanza di risorse ha quindi ridotto in partenza la portata del cambiamento, ma non è la sola evidente lacuna e forse neanche la peggiore.
Per quanto riguarda i musei autonomi - suddivisi al loro interno, prevalentemente sulla base di ragioni economiche, in serie "a" e serie "b" - l'aspetto più evidente è la sottolineatura della figura del Direttore, investita di un ruolo quasi taumaturgico, come è risultato chiaro fin dal lancio mediatico del provvedimento. Scelti sulla base di un concorso internazionale ora in svolgimento, i Direttori dovrebbero essere gli artefici principali di una rivo-luzione a 360 gradi e innalzare finalmente alcune delle nostre glorie nazionali, dagli Uffizi alle Gallerie dell'Accademia, da Paestum all'Archeologico di Taranto, agli standard dei principali musei europei e internazionali. La situazione, davvero lamentevole, di alcuni fra loro, renderebbe questa ri-voluzione urgente e indispen-sabile, ma è assai improbabile che la sola figura dirigenziale - l'uomo solo al comando - possa operare "miracoli", in presenza di un quadro di risorse ingessato e poco chiaro sotto il profilo della disponibilità economica e della gestione del personale. Sotto questo aspetto si è ripetuto uno degli errori che compromisero in partenza l'esperimento dell'autonomia, avviato nell'area archeologica di Pompei nel 1997, quando si mantenne la gestione del personale in capo al Ministero centrale, sottraendo una leva fondamentale per il rilancio del sito.
La scarsa risposta di studio-si stranieri al bando - 80 su 1200 domande - è una prima conferma delle incertezze che presenta tuttora il quadro normativo, elaborato forse con eccessiva fretta e tuttora bisognoso di decisivi aggiustamenti.
Per quanto riguarda i Poli museali regionali, se anche in questo caso ci troviamo in presenza di incongruenze nei rapporti con le Soprintendenze di settore e la definizione di reciproci ruoli e competenze, l'elemento di più evidente ne-gatività è costituito dal marcato 'centripetismo' che traspare dalla lettera del provvedimento. L'auspicata promozione di un "sistema museale regionale integrato" (art. 34, c. 2b) appare fortemente condizionata dall'iniziativa del Direttore del polo statale che viene a essere il motore principale di una sorta di processo di aggregazio-ne progressivo. Non si tratta di rivendicare - in un rigurgito di federalismo - una "parità di grado" per i musei che fanno capo agli enti locali, ma semplicemente di prendere atto che la realtà museale dei no-stri territori è assai articolata e complessa. A partire dai dati numerici: il rapporto fra musei statali e altri musei è di 1:10 su base nazionale e se alcune istituzioni locali sono di modesto rilievo, in molte realtà territoriali sono stati attivati, in questi anni, sistemi museali e processi di adeguamento a standard di servizio di livello avanzato. Il superamento, sempre più necessario e auspicabile, della separazione fra appartenenze giuridiche diverse, musei statali e musei di enti locali, ai fini di una loro migliore fruizione, non può essere visto come un'operazione originata dall'impulso primario di un 'centro' statale, così come sembra trasparire dal Decreto, ma deve scaturire da un processo ben più aperto e condiviso, oltre che fondato su un'analisi delle diverse realtà territoriali.
In queste non risolte pulsioni verso l'aspirazione, per certi versi provinciale, all'eccellenza internazionale e, sull'altro versante, a un centralismo velleitario e piuttosto anacroni-stico, si nascondono i limiti più evidenti della riforma che solo un più allargato e meditato processo di elaborazione potrà correggere.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2015 - N.52]

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