"Deserto Rosso" versus "Logica" di Aristotele

Uno spaccato delle più recenti attività di ricerca del Laboratorio fotografico

Luigi Tomassini - Presidente Società Italiana per lo Studio della Fotografia

Esattamente cinquant'anni fa, Michelangelo Antonioni era in città a girare Deserto Rosso. Grazie a lui e al suo direttore della fotografia, Carlo Di Palma, alcune delle immagini più potenti del cinema italiano sono state riprese qui, a Ravenna.
Forse chi ci sta dentro non lo percepisce con la stessa nettezza, ma vista da fuori Ravenna è un serbatoio straordinario di immaginari. I suoi monumenti unici al mondo, con i loro mosaici apparentemente statici, ieratici, ma carichi di una formidabile potenza espressiva, stanno a pochissima distanza da alcuni colossali cimiteri metallici, un parco di archeologia industriale che non ha pari in Italia: la quintessenza di una moderna civiltà postindustriale, con un concentrato delle sue invasioni del paesaggio e dell'ambiente, a cui però fa da specchio, sul lato opposto della Baiona, un ambiente naturale ancora arcaico: acquitrini, macchie palustri,  radi capanni da pesca, che segnano l'inizio di quel paesaggio magico, carico di vita sotto la superficie inerte, che contraddistingue l'ultima propaggine del contiguo delta del Po.
Nello scorso ottobre il Laboratorio Fotografico del Dipartimento di Beni Culturali ha promosso, in collaborazione con Fondazione Flaminia e Osservatorio Fotografico, una "Summer school" sul tema Landscape and urbanscape Photography, che prendeva dichiaratamente le mosse dal cinquantenario di Deserto Rosso per "rivedere" Ravenna attraverso gli occhi di alcuni fotografi di oggi. Una ventina di giovani che venivano per i due terzi da altre regioni d'Italia e dall'estero, sotto la guida di alcuni grandi nomi della fotografia italiana e internazionale, come Johansson, Brohm, Guidi, si sono alternati a storici e storici dell'arte italiani per una settimana di studi e di esperienze. Tra il 20 e il 22 novembre si è tenuto un convegno internazionale sul tema "Sguardi fotografici sul territorio: progetti e protagonisti fra storia e contemporaneità in Italia" che riprende su scala più vasta questo stesso tema.
Nel mezzo, il 7 e 8 novembre, si è svolta al Dipartimento un'iniziativa dedicata al progetto "Palamedes", ovvero allo studio di due antichi codici in pergamena, uno dei quali probabilmente risalente al V-VI secolo. I due codici sono integralmente rescripti, ossia il testo originale è stato (una o più volte) cancellato e coperto con nuove scritture. La prof.ssa Chiara Faraggiana di Sarzana, lavorando nel Laboratorio con l'aiuto di un fotografo esperto di tecnica fotografica classica e di un archeologo molto versato nel digitale, ha potuto riscoprire sotto la superficie per così dire "moderna", la scrittura inferiore, che contiene alcuni testi che costituiscono novità rilevanti sul piano della ricerca, come uno, di autore ignoto, in cui la Logica di Aristotele è presentata attraverso schemi grafici di estremo interesse. Ma il dato più interessante è che il manoscritto si trova presso la Bibliothèque Nationale de France; la ricerca è finanziata dalla Fritz Thyssen Stiftung ed è il frutto di un progetto di cooperazione internazionale dell'Università di Bologna con la Georg-August-Universität di Göttingen e con la Fondazione culturale della Banca Nazionale di Grecia (MIET) in Atene. Cosa ha convinto Isabelle le Masne de Chermont, responsabile del settore manoscritti della Bibliothèque Nationale,  e i partner tedeschi e greci ad affidare al nostro Dipartimento (finanziandolo) il lavoro di elaborazione fotografica di questi codici? Evidentemente la riconosciuta competenza della prof.ssa Faraggiana, ma anche un po' il fatto che in questa nostra sede siano disponibili strutture di ricerca che riescono a stare almeno alla pari con le omologhe a livello internazionale.
Come capite, ho rinunciato ad esporre in dettaglio le attrezzature e la struttura del Laboratorio, su cui potrete facilmente essere informati sul sito del Dipartimento, e mi sono limitato a dare uno spaccato della sua attività di questi mesi. Dalla quale si deduce che quello che intendiamo per laboratorio non è un agglomerato di attrezzature, ma luogo di elaborazione culturale dove si impara facendo e realizzando; un luogo dove i nostri giovani debbono imparare a leggere il patrimonio culturale con la competenza e la serietà della tradizione, ma sapendo padroneggiare anche i linguaggi del presente. La fotografia si presta perfettamente, perché nel campo dei beni culturali è insieme un bene culturale essa stessa, ed è uno strumento chiave nel settore delle nuove tecnologie digitali. Un'avventura affascinante dunque, ma anche uno strumento utile per muoversi professionalmente in un mondo chiamato alla sfida di coniugare presente e passato, innovazione e patrimonio culturale.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2014 - N.51]

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