Le collezioni digitali secondo Klaus Kempf

Prosegue l'intervista al direttore della Bayerische Staatbibliotek di Monaco di Baviera

Chiara Alboni, Chiara Storti - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

A Kempf, in occasione della Lectio Magistralis tenuta a Ravenna lo scorso giugno, abbiamo rivolto alcune domande sul tema delle collezioni nell'era digitali. La prima parte dell'intervista si trova sul n. 47 di Museo in-forma.

Le collezioni digitali dovrebbero essere gestite come le altre collezioni, quindi con piani organici di acquisizione frutto anche della vocazione specifica di ogni singola biblioteca oppure - trattandosi di documenti immaterial - possono essere svincolati da queste prassi? Possiamo parlare al limite di "collezioni on-demand"?
È presto detto: le collezioni digitali dovrebbero essere gestite come le altre collezioni delle Biblioteche. Questi istituti infatti si sono sempre caratterizzate per la presenza di collezioni differenti, come mappe, dischi ecc., e hanno avuto diversi modi di acquisizione, di catalogazione. Anche se oggi siamo abituati a visualizzare tutte le collezioni in un unico catalogo mainframe, l'Opac, nel passato c'erano perfino cataloghi fisicamente separati a seconda del tipo di supporto dei documenti. È quindi una chimera l'approdo ad un workflow indifferenziato per tutti i materiali di biblioteca.
Ciò che possiamo dire a proposito delle collezioni on-demand è che ora esiste una pratica molto diffusa, soprattutto tra le biblioteche di ricerca e non solo tra quelle di pubblica lettura, che in inglese è denominata patterns retrieval acquisition. L'utente stesso decide, quasi in ultima istanza, cosa viene comprato o meno: il bibliotecario offre tramite l'Opac le informazioni bibliografiche relative al materiale non ancora acquisito e lascia che a scegliere sia l'utente in base alle proprie necessità. Questa, a prima vista, potrebbe sembrare la soluzione specifica per l'acquisto delle collezioni digitali ma non lo è, poiché è un sistema soggetto a manipolazioni, e inoltre non risolve i problemi di un budget limitato. Serve ai bibliotecari a sentirsi meglio perché scarica, in qualche modo, la responsabilità della scelta sull'utente. Una pratica pericolosa, a mio avviso, più che per le biblioteche di pubblica lettura - che comunque devono tenere il ritmo delle novità del mercato editoriale - per le biblioteche di ricerca. In quest'ultime l'utente si aspetta ancora non solo collezioni attuali ma anche di lungo respiro, ovvero che testimonino il passato e siano traccia per il futuro, altrimenti il futuro sarà vuoto. Quindi anche per le collezioni digitali bisogna ripensare i termini di collaborazione tra le biblioteche ed individuare quelle deputate alla conservazione.

Dal momento che le collezioni delle biblioteche, ovvero il loro patrimonio, stanno velocemente approdando al mondo del digitale con tutto ciò che comporta, le biblioteche come istituzioni fisiche avranno ancora senso di esistere?
È sicuramente vero che già da molti anni non si costruiscono più biblioteche per la sola consultazione del patrimonio bibliografico. Almeno dagli anni '70 del secolo scorso, soprattutto le biblioteche universitarie sono organizzate fisicamente con un magazzino e piccole sale di lettura. Tutte le biblioteche, quelle di ricerca, quelle universitarie e, in particolare, quelle di pubblica lettura, sono luoghi di aggregazione sociale: offrono vari tipi di servizi a diversi strati di popolazione che si recano in biblioteca non tanto per i libri ma per incontrarsi. Io non giudico questo fenomeno, ma per me è difficile immaginare un'istituzione che si chiami ancora biblioteca senza riferimenti alle attività di informazione, comunicazione ed educazione, nel senso ampio dei termini, perché altrimenti potremmo essere assimilati a qualsiasi altro spazio pubblico. Negli Stati Uniti, ad esempio, le biblioteche pubbliche offrono le loro sale vuote a gruppi di ragazzi che giocano con i video games o altri giochi elettronici e che con i loro device si attaccano alla rete elettrica e wifi della biblioteca. Giustamente, allora, si potrebbe porre la domanda, in particolare da parte dei privati, sul perché ci sia bisogno di una biblioteca e del suo staff. Per questo motivo, se pure si ha una forte tendenza generale ad andare verso un all digital word, in cui la maggior parte dei media sarà solo digitale o multimediale, si dovrà sviluppare una nuova forma di cultura e di informazione collettive che garantiscano alle biblioteche un ruolo alternativo rispetto a quello esclusivamente sociale.


La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 8 [2013 - N.48]

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