Elogio dei depositi museali

Non solo depositi per la conservazione ma fondi formidabili ai quali attingere per azioni e attività del museo

Anna Maria Visser Travagli - Master MCM MuSeC - Università di Ferrara

Deposito o riserva - mutuato dal francese rèserve - sono termini entrati nell'uso di recente, in sostituzione del più tradizionale termine magazzino. I primi evocano ambienti idonei e attrezzati per la conservazione preventiva e la gestione delle collezioni museali, mentre il terzo evoca piuttosto uno spazio di fortuna, inadatto e carente, dove regnano polvere e confusione. Ancora troppi in Italia sono i musei in questa deplorevole condizione, che l'attuale crisi acuisce; è assai difficile, allora, che amministratori e decisori stabiliscano di investire in strutture, che non danno alcuna visibilità e la cui utilità è riconosciuta quasi solo dagli addetti ai lavori.
Qual è allora, davvero, la funzione dei depositi e come socializzarne il valore?
Il primo compito di un museo è la conservazione. Questa consiste nel mantenere le opere in condizioni tali da assicurarne la durata nel tempo; nel procedere periodicamente alle dovute operazioni di manutenzione; nel realizzare i necessari interventi di restauro. Congiunta alla conservazione è la sicurezza: ambientale, strutturale, d'uso, anticrimine e antincendio. L'Italia che ha sviluppato una vera e propria cultura del restauro e della conservazione a livelli di eccellenza nel mondo, tarda, paradossalmente, a realizzare e adeguare gli spazi per i depositi, che sono essenziali, sono il vero "cuore" del museo. Eppure, è dal 2001, con l'emanazione del decreto degli standard di qualità dei musei, che sono disponibili norme e linee guida specifiche, contenute negli ambiti dedicati alle strutture, alla sicurezza, alla cura e gestione delle collezioni e al personale, dove sono indicate le figure professionali necessarie per la gestione del museo. Per non parlare poi di norme di riferimento internazionali, relative al museum collection management, che è in continuo sviluppo. Depositi per la conservazione dunque, in coerenza con l'etica museale e in ottemperanza alle norme, ma non basta!
La riserva (è meglio usare questo termine se facciamo riferimento a dipinti, sculture, oggetti d'arte, che normalmente non sono esposti) costituisce un fondo formidabile al quale attingere per azioni e attività del museo, come prestiti, mostre, attività per il pubblico. Un caso esemplare è la Galleria degli Uffizi di Firenze, dove la riserva, appunto, - così ama chiamarla il direttore - è attrezzata come una galleria parallela, in cui i dipinti sono sistemati come se fossero in una quadreria nobile, tutti chiaramente leggibili.
Ma, perchè ci sono tante opere e tanti oggetti nei depositi?
Non è necessariamente un dato negativo. Non bisogna dar peso, a mio parere, ai ricorrenti articoli di stampa proposti da un giornalismo approssimativo, che si compiace nel denigrare sistematicamente l'amministrazione dei beni culturali: tesori nascosti, abbandonati nei depositi, sottratti alla fruizione. Si dimentica che i più famosi e visitati musei del mondo hanno strutture imponenti per i depositi e i laboratori di restauro e ricerca; basti ricordare a tal proposito il British Museum di Londra. Nello squilibrio fra opere esposte e opere conservate nei depositi bisogna ricordare che ci sono raccolte, come, ad esempio, quelle numismatiche e naturalistiche, che non ha senso esporre nella loro interezza, e poi ci sono opere i cui materiali costitutivi sono troppo delicati per essere esposti in permanenza, come disegni, stampe, sete, tessuti ecc. Non tutto deve o può essere esposto, ma è innegabile che, purtroppo, nella gran parte dei musei italiani fra esposizione permanente e conservazione nei depositi non c'è un rapporto fisiologico, ma un rapporto patologico. Questo è un dato negativo, al quale bisogna porre rimedio, se vogliamo ammodernare i musei italiani e renderli efficienti.
Perché questa situazione? Credo che le cause principali siano due.
I musei di antica tradizione esponevano tutto - basti ricordare le wunderkammer e le quadrerie storiche - mentre con la "rivoluzione" museografica moderna le opere sono state selezionate, diradate, collocate solo ad altezza d'occhio in modo da facilitare la visione. Questo fenomeno ha da un lato portato alla realizzazione di musei-capolavoro, come il Museo di Castelvecchio a Verona realizzato da Carlo Scarpa, ma nel contempo ha "prodotto" la necessità di depositi imponenti, in cui collocare le opere "scartate".
Inoltre bisogna ricordare che il museo è un istituto potenzialmente sempre in crescita, come la biblioteca e l'archivio. Il patrimonio cresce con acquisti - pochi! - con depositi e lasciti, ma soprattutto aumenta per la dilatazione che ha assunto il processo di patrimonializzazione dal secondo dopoguerra ad oggi, che ha fatto entrare nei musei tipologie di oggetti del tutto nuove o reperti derivanti dalla trasformazione dei criteri e dei metodi di indagine; basti pensare agli scavi archeologici stratigrafici.
Carente è dunque lo spazio, sia per l'esposizione permanente che per i depositi, mentre aumentano le collezioni. Che cosa fare?
Non bisogna certo tornare ad assiepare le sale, come un tempo (anche se qualche sperimentazione museografica in tal senso si vede, ma ha un significato diverso), ma bisogna considerare tutto il patrimonio museale in osmosi fra esposizione e depositi. Possono esserci diverse soluzioni.
La prima: rendere evidente, trasparente direi, nel percorso museale il deposito, con gli oggetti ben ordinati e collocati. Penso all'impatto straordinario che ha sui visitatori il deposito vetrato circolare di reperti etnografici, collocato all'ingresso del museo parigino du Quai Branly dell'architetto Jean Nouvel.  Bisogna abbattere il "diaframma" che divide l'esposizione permanente dai depositi: ciò che non si vede è come se non esistesse. Bisogna allora promuovere, se è possibile, aperture straordinarie dei depositi, con visite guidate e visite a tema: depositi aperti, come fa da alcuni anni la Galleria Borghese di Roma.
Seconda soluzione: mostre, non grandi mostre che sono ormai obsolete, ma mostre di museo, che valorizzano le opere dei depositi, in simbiosi con altre opere e documenti anche da altri musei,  biblioteche, archivi, raccolte private ecc. L'importante è il progetto culturale, per cui queste mostre costano poco e rendono molto in termini di crescita culturale e civile. Tutte le grandi istituzioni museali del mondo propongono continuamente mostre di questo tipo.
Terza soluzione: optare per l'esposizione a rotazione delle collezioni nelle sale permanenti. Fermo restando che i capi d'opera e le opere più importanti devono restare esposte in permanenza, bisogna attrezzare gli allestimenti in modo che possano accogliere con periodicità il rinnovamento dell'esposizione.
Così il museo può diventare dinamico sia in senso scientifico che di comunicazione e rinnovare la sua offerta alla comunità e ai visitatori.
In una situazione di crisi come l'attuale è possibile che ogni museo possa disporre di un proprio deposito modernamente attrezzato? O è meglio pensare a strutture condivise fra più istituti di una stessa città o di uno stesso territorio, in una logica di sistema e di rete? La crisi stimola ciascuno a uscire dal proprio specifico e a pensare a nuove architetture istituzionali e a nuovi sistemi di governance, per poter condividere risorse e personale. Quello che non si riesce a fare da soli, si può fare se si è uniti.
Un modello può venire da quanto è stato fatto per il terremoto; sotto l'urgenza della necessità di ricoverare le opere colpite dal sisma del 20 e 29 maggio 2012, la Direzione regionale dell'Emilia Romagna (MiBAC) ha creato nella Reggia di Sassuolo un ampio ed efficiente deposito e un laboratorio di restauro al servizio dell'intera area terremotata del ferrarese e del modenese. Perché non pensare a qualche cosa di analogo, naturalmente al di fuori dell'emergenza, anche per altri territori; per Ravenna e per la Romagna potrebbero essere un buon banco di prova.

Speciale Depositi museali - pag. 9 [2013 - N.47]

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