Meraviglie sulla Via della Porcellana

Cina, Giappone, Sud-est asiatico: al MIC di Faenza una nuova sezione permanente dedicata all'Estremo Oriente

Roberto Ciarla - Museo Nazionale d'Arte Orientale "Giuseppe Tucci" di Roma

La riapertura di uno spazio espositivo dedicato alla produzione delle ceramiche invetriate dell'Estremo Oriente rappresenta per il MIC il traguardo di un progetto museale e didattico raggiunto grazie alla pluriennale collaborazione con il Museo Nazionale d'Arte Orientale "Giuseppe Tucci" di Roma. Nella nuova sezione saranno esposti circa 400 manufatti rappresentativi dei principali centri di produzione ceramica dell'Asia estrema, quelli, per intenderci, che hanno fatto la storia del commercio internazionale della porcellana dai tempi di Marco Polo fino all'epoca delle Compagnie delle Indie Orientali, grazie alle quali l'Europa conobbe, apprezzò e imitò la genialità tecnica e artistica dei vasai della Cina e del Giappone, nonché della Tailandia e del Vietnam.

Attraverso le opere esposte, il visitatore può godere, come lo fecero i nostri antenati, delle meravigliose merci arrivate in Europa attraverso la "Via della Porcellana". Dai forni del principale centro manifatturiero dell'Asia, Jingdezhen nella provincia cinese del Jiangxi, provengono i primi esempi di vasellame in pasta di caolino con vetrina acroma, del XI secolo, mentre il vasellame di gres rivestito dalle spesse, quasi untuose, vetrine verdi - che in Europa chiamiamo céladon - è rappresentato da alcuni esempi databili tra il V e il X secolo fino agli splendidi manufatti dei secoli XIII-XV prodotti nelle rinomate fornaci di Longquan.

Particolarmente rappresentativa è la raccolta di porcellane con decoro all'ossido di cobalto dipinto sotto la vetrina acroma - i famosi vasi "bianco e blu" - dove figurano splendide stoviglie prodotte a Jingdezhen sia per il raffinato mercato cinese nel periodo delle due ultime dinastie - Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) - sia per l'esportazione verso l'Occidente (i famosi "bianchi e blu" kraak e Swatow particolarmente imitati a Delft, ma non solo) tra il 1550 e il 1650, il periodo di più stretto monopolio del commercio olandese con le Indie orientali. A queste si affiancano non meno eccellenti piatti dello stesso genere "bianco e blu" fatti in Giappone dalle fornaci di Arita, principale centro di produzione dell'arcipelago che, particolarmente nel Sei e Settecento, seppe competere, in termini di qualità e quantità, con quelli prodotti in Cina. E ancora di fattura giapponese, di Arita, sono le porcellane Imari sulle quali ai decori "bianco e blu" si aggiunge lo smalto rosso e l'oro. In questo caso, furono i vasai cinesi che dovettero imitare e competere, come si può vedere nella vetrina dedicata al tipo detto 'Imari cinese', per soddisfare la domanda del ricco mercato europeo.

Nella sezione dedicata alla produzione delle fornaci giapponesi figurano i gres di uso quotidiano, ma di straordinaria raffinatezza, fatti per la maggior parte nelle fornaci di Seto, località dell'isola di Kyushu, annoverata tra i "sette antichi forni" del Giappone, attivi almeno dal XII secolo. Non mancano numerosi esempi dei gres con coperte di diverso stile (tra cui tazze a coperta rossa o nera nel ben noto stile dei Raku) usati nella "Cerimonia del tè" o quelli, molto meno formali, usati per conservare e consumare un'altra tradizionale bevanda giapponese, il sakè. Segnaliamo poi la presenza di due eccezionali esempi delle porcellane ottocentesche Bencharong e Lai Nam Thong, prodotte a Jingdezhen, in Cina, per l'uso esclusivo della Corte del Re del Siam (oggi Tailandia), splendidamente decorate a smalti policromi con scene di ispirazione buddhista.

Si è aperta poi una piccola finestra sul mondo dell'Oriente Estremo, per contestualizzare in qualche modo l'oggetto principale della nuova sala, attraverso l'esposizione di opere a soggetto religioso (splendida la divinità stante di porcellana blanc de Chine) anche in materiali diversi dalla ceramica, come l'eccezionale statua di bronzo raffigurante il Re Celeste Duo Wen Tianwang ("Colui che tutto ode") che accoglie i visitatori all'ingresso del nuovo spazio espositivo, dove trova posto anche una vetrina che abbiamo voluto chiamare "della memoria" in quanto vi sono collocate opere recuperate tra quelle distrutte dal bombardamento alleato del 1943 che causò irreparabili danni alle collezioni del Museo.

La scelta e lo studio delle opere esposte - acquisite per la maggior parte attraverso il generoso contributo di diversi donatori - è stato coordinato dal sottoscritto, che si è avvalso della collaborazione di Fiorella Rispoli, dell'Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente, di Chiara Molinari, una giovane studiosa che collabora con il MIC, e, naturalmente, del personale del Museo stesso.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 22 [2011 - N.42]

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