L'Università e l'idea di museo come servizio pubblico

Una riflessione sull'insegnamento accademico di "Museologia", prospetando l'istituzione di una scuola nazionale di Museum Studies

Nadia Barrella - Docente di Museologia e Storia del collezionismo Seconda Università degli studi di Napoli

I grandi cambiamenti istituzionali cui abbiamo assistito a partire dal 1990 e il diffondersi dell'idea di museo come servizio pubblico hanno più volte spostato l'accento sulla necessità di chiarire meglio il quadro dei professionisti che operano nel museo suggerendo, tra l'altro, modalità e contenuti dei loro percorsi formativi.

ICOM Italia, in un recentissimo documento, ha inoltre posto l'accento sulla necessità di un iter che - "fornendo sia competenze generali [...] che specifiche [...] e accompagnandosi con una prolungata esperienza di tirocinio sul campo" - si realizzi soprattutto ad un livello "post lauream". Riallacciandosi alle importanti conclusioni della cosiddetta "Commissione Montella", ICOM ripropone l'istituzione "di una scuola nazionale di Museum Studies, nella quale convergano e cooperino, con diversi apporti, le Università, le Regioni, gli Enti territoriali, i Musei e le associazioni professionali".

È indubbio che, "per assicurare una diffusa ed omogenea qualità delle attività di valorizzazione in tutte le aree e in tutti gli istituti e luoghi della cultura del paese, non si possa rinunciare alla formazione di un corpus professionale di elevata ed omogenea qualità, capace di agire unitariamente - su base nazionale e indipendentemente dalle posizioni lavorative in organizzazione pubbliche e private" - ma è altrettanto vero che tale formazione è un obiettivo da raggiungere, non un risultato già ottenuto.

Quel che esiste, quel che per il momento determina le conoscenze di base della maggior parte dei nostri addetti al museo e costituisce, tra l'altro, il requisito più richiesto per l'accesso a molti dei possibili incarichi ("laurea in discipline attinenti alle specificità del museo") è il corso di laurea 3+2 in Lettere, Conservazione o denominazioni affini. È dunque su questi corsi di laurea triennale e magistrale che vorrei fare alcune considerazioni, partendo da una veloce analisi della più recente offerta formativa dei nostri Atenei e precisando che si tratta di un'indagine incompleta, che ha tenuto conto di quanto disponibile on-line per il 2010 e che si è soffermata sul solo insegnamento di "Museologia" nei suddetti corsi e non sul complesso degli insegnamenti che potrebbero rientrare nei Museum Studies, che avrebbero reso necessarie verifiche più ampie e, tra l'altro, quasi sempre relative ad altri corsi di laurea.

Un primo dato su cui riflettere e che rappresenta, secondo me, una notevole anomalia - considerando la quantità di musei, parchi archeologici e simili del nostro Paese - riguarda i percorsi formativi triennali per gli archeologi. Tranne poche eccezioni (tra l'altro molto interessanti perché particolarmente aperte al dibattito contemporaneo, alla comunicazione e al fondamentale rapporto con il territorio) quasi l'80% dei piani di studio verificati non prevede alcun tipo di riflessione sul museo. È una risposta logica a tale anomalia il fatto che al settore LART04 (Museologia, storia e critica del restauro) afferiscano per lo più "storici dell'arte", ma la "logicità" della risposta nulla ha a che fare con la ragionevolezza di una scelta che appare piuttosto miope e poco lungimirante. "Stiamo apparecchiando un banchetto avvelenato - scriveva Salvatore Settis qualche anno fa e la riflessione sembra estremamente adatta a questa situazione - stiamo autorizzando un crescente analfabetismo, figlio della retorica perversa dei beni culturali come un dominio separato, quasi che la specificità dovesse essere sinonimo di separatezza". Certo non ha aiutato a superare questi preoccupanti "paletti di settore" quello che è stato, fino a qualche anno fa, un andamento abbastanza evidente nei programmi di studio dell'esame di Museologia, molto orientati alla storia del collezionismo.

La consapevolezza che "occuparsi di museologia significa innanzitutto occuparsi di storia", comprendere il gesto collezionistico e le sue manifestazioni esteriori - unita a quella che fino a qualche anno fa era una reale carenza di testi adeguati a percorsi formativi di base - ha certamente indirizzato in tal senso i docenti che trovavano molto più vicina ai loro interessi e alle loro metodologie di studio la riflessione su antiche raccolte. La storia del collezionismo continua ad essere ancora molto presente nei programmi di studio dei percorsi triennali per la storia dell'arte.

Devo però osservare, confrontando le indagini da me svolte qualche anno fa con questa più recente valutazione, che è in costante aumento la scelta di comunicare ruolo e caratteristiche del museo contemporaneo. Sono finalmente diventati una significativa presenza, in molti programmi di studio del triennio per i futuri "conservatori/storici dell'arte": gli standard, la comunicazione, la riflessione sulla legislazione italiana e, in generale, il dibattito sul museo del XXI secolo. Peccato che non sempre l'insegnamento sia obbligatorio, che il numero di crediti sia talvolta molto ridotto e che sia spesso affidato a docenti a contratto.

La situazione non migliora affatto se si guarda all'offerta formativa delle Lauree magistrali. Restano prive di una qualsiasi forma di riflessione sul museo non solo la maggior parte delle lauree in archeologia ma anche molte di quelle in Storia dell'arte. Se le trasformazioni dei contenuti didattici triennali ai quali prima facevo riferimento lasciano ben sperare per gli anni a venire, la marcia indietro che oggi si osserva nei percorsi magistrali (e, bisognerebbe aggiungere, anche nelle scuole di specializzazione rimaste ancorate ai tradizionali iter curriculari) conferma che nel formare i conservatori, gli storici dell'arte e gli archeologi (ma anche - sia detto solo come inciso - i futuri docenti della scuola riformata) si rinuncia troppo spesso ad abituarli a comprendere l'unicità della tutela italiana mirata al "tessuto connettivo" e non al singolo oggetto e a educarli al museo che - meglio di ogni altro luogo della cultura - è in grado di mostrare tali connessioni.

È indubbio che la responsabilità di questa anomalia sia molto legata a scelte interne alle singole Facoltà e che quanti di noi insegnano Museologia e hanno un ruolo anche all'interno dei corsi di laurea devono avere la capacità di adoperarsi sempre più per una formazione di ottimo livello, permeabile ad altri linguaggi e saperi e attenta alle necessità del nuovo ruolo assunto dal museo. Determinante, dunque, un'attenta riflessione sulla opportunità di rivedere contenuti e articolazioni sia di raggruppamenti disciplinari che dei piani di studio di livello triennale e magistrale e delle scuole di specializzazione postmagistrale.

Diventa però sempre più necessaria una reale e diffusa volontà di collaborazione tra quanti - ai più diversi livelli - s'interessano al museo. È vero che esistono contesti in cui il dialogo tra musei, enti locali e università funziona e dà risultati, ma è altrettanto vero che continuano a rimanere ampi spazi di "resistenza" al confronto, enti territoriali chiusi a qualsiasi forma di dialogo, musei e altre istituzioni assolutamente indisponibili ad attività di collaborazione (stage, tirocini, ricerca sul campo ecc.) che possano davvero consentire, al mondo accademico, lo studio, la riflessione e dunque la trasmissione di una nuova idea di museo e di servizio pubblico. La necessità di un nuovo corpus professionale "consapevole appieno della necessaria destinazione pubblica del patrimonio e capace pertanto di una profonda innovazione dei contenuti e delle modalità di erogazione dell'offerta" non può emergere solo dalle attività di aggiornamento del personale interno al museo (sulle quali tra l'altro manca, a livello nazionale, un'attenta riflessione che ne valuti soprattutto l'effettiva capacità di "penetrazione") né basta pensare ai soli percorsi di alta formazione.

La formazione universitaria quinquennale non è solo la base per la successiva attività di perfezionamento delle figure direttive del museo ma è, più in generale, il sapere di moltissimi "addetti al patrimonio" che, anche solo per non averne mai sentito parlare, potrebbero interrompere o limitare l'azione stessa delle nostre istituzioni museali: "aperte" ma incapaci di farsi ascoltare da interlocutori non educati a leggerne - e dunque a sfruttarne pienamente - le potenzialità.


Contributi e riflessioni - pag. 20 [2011 - N.40]

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