Giuseppe Liverani

Direttore del MIC per più di venticinque anni, dedicò la vita al museo e allo studio della storia della ceramica

Claudio Casadio

Come ricordò a dieci anni dalla morte del suo maestro, Gaetano Ballardini, la prima volta che entrò al MIC aveva appena sedici anni, verso la fine del 1919, e vide l'istituto museale che "si raccoglieva tutto in un capannone solaio dell'ex convento di San Maglorio suddiviso in tre sale" con l'esposizione delle ceramiche orientali e italiane donate da Ercole Alberghi, le ceramiche moderne italiane ed estere e le maioliche faentine dal '300o a tutto l'800.
Chiamato alle funzioni di conservatore con mansioni di segretario amministrativo, Liverani nel 1924 collaborò all'espansione del museo che proprio in quegli anni aprì numerose sezioni, ebbe donazioni importanti come quella da scavi in Egitto e vicino Oriente dello svedese Roberto Martin ed iniziò la costituzione della biblioteca e della fototeca.
Il momento tremendo fu al termine della seconda guerra mondiale quando, di ritorno dalla prigionia nell'aprile 1945, ritrovò il museo completamente distrutto nell'edificio e nelle collezioni e fu accolto da Gaetano Ballardini che lo abbracciò dicendogli "sei tornato, figliolo. Rifacciamo il Museo". Ripresero il lavoro e Liverani, incaricato ad "attendere ai lavori in sede" insieme a Melisanda Lama, nel maggio 1953 portò a Ballardini, poche ore prima della sua morte, "la fotografia dell'allestimento della sala delle Nazioni, l'ultima costruita e ricostruita". Quei lavori di ricostruzione, terminati in meno di dieci anni, furono ricordati dallo stesso Liverani come un vero "miracolo della volontà, della tenacia, della scienza; prova di quanto possa il contributo di uomini di buona volontà ed una buona causa".
Con la morte del fondatore, il direttore del Museo divenne Giuseppe Liverani che continuò un intenso lavoro sulla strada già tracciata. Aumentarono le pubblicazioni, con una collana editoriale interna al museo e con altre edizioni, "alcune di notevolissima mole, altre di felicissima diffusione", continuò costante la pubblicazione della rivista Faenza, venne incrementata la biblioteca, agevolata l'organizzazione del concorso della ceramica d'arte e notevolmente accresciute le raccolte sia di opere storiche, grazie a donazione e recuperi da sterri, che contemporanee con il Concorso d'Arte. Impegno costante fu anche quello dell'insegnamento mantenuto per tanti sia all'Istituto d'Arte faentino che a livello universitario: dal 1967 al 1972 insegnò all'Università di Firenze e dal 1968 al 1971 anche all'Università di Pisa.
Nel 1973 in una intervista rilasciata ad un periodico faentino (Il Progresso, aprile 1973) ricordò che il museo dalla distruzione del dopoguerra era stato completamente ricostruito con una fervorosa opera che aveva consentito di costruire un istituto più ampio di quello perduto per cui, non essendo "opportuno allargare ancora le mostre aperte al pubblico, col risultato di appesantire troppo la visita", il suo auspicio era quello di aumentare i servizi. In particolare Liverani si riferiva allo sviluppo delle 'comodità', cioè l'impianto di riscaldamento e il sistema di illuminazione "per i visitatori delle collezioni, della biblioteca specializzata, della fototeca; alla azione didattica e divulgativa oltre che a quella scientifica" con convegni e pubblicazioni.
Il punto di riferimento per Liverani anche in quell'intervista del 1973 ero quello che aveva condiviso con Ballardini e che avrebbe mantenuto fino alla morte, avvenuta nel 1979, di un museo che non poteva deludere «gli occhi degli operatori e degli studiosi della ceramica di tutto il mondo per la sua apprezzata azione di ricerca, di stimolo e di guida».

Personaggi - pag. 15 [2009 - N.34]

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