Corrado Ricci: la biografia intellettuale

L'Istituzione Classense partecipa all'iniziativa del MAR dedicata allo studioso ravennate mettendo in mostra manoscritti, prime edizioni, appunti di lavoro e stampe fotografiche

Donatino Domini - Direttore dell'Istituzione Biblioteca Classense di Ravenna

Dopo le iniziative che negli anni passati si sono susseguite a focalizzare i contributi di Corrado Ricci alla vita culturale italiana, da quello di storico dell'arte, di museografo, di funzionario votato alla tutela dell'arte e del paesaggio a quello di pubblicista e grande divulgatore del patrimonio artistico, oggi, a 150 anni dalla nascita, sono maturi i tempi per una ricostruzione a tutto tondo della personalità più eclettica che il mondo culturale ravennate abbia visto comparire sulla sua scena in epoca moderna.
È proprio in qualità di istituto depositario delle memorie ricciane che l'Istituzione Classense, aderendo all'iniziativa del MAR di Ravenna, propone una biografia intellettuale di Corrado Ricci attraverso i manoscritti, le prime edizioni, gli appunti di lavoro e le rare e spesso inedite stampe fotografiche che documentano il lavoro di restauro della Basilica di San Vitale da Ricci voluto e diretto.
Un percorso segnato dai giovanili esercizi di amateur d'arte ravennate, rappresentati dalla sua prima Guida di Ravenna e dai disegni a matita e a china risalenti agli anni in cui frequenta l'Accademia di Belle Arti e che raffigurano per lo più i paesaggi e i monumenti di Ravenna e i luoghi visitati in occasione dei viaggi che lo portano, a partire dal 1872, nel Montefeltro e sulle colline emiliane e romagnole. Ai saggi d'arte e di archeologia seguono gli studi di ambito specificamente storico-letterario di tematiche tra loro diversissime ma indicative della vastità delle conoscenze e degli interessi ricciani: dai resoconti minuziosi di qualche scoperta archeologica ai testi delle conferenze, come quella su I colori nei proverbi dove Ricci, tra il serio e il faceto, mette insieme una documentazione rivelatrice della misoginia presente nei proverbi popolari, di derivazione colta, classica ed umanistica.
Un posto del tutto particolare è occupato dagli studi danteschi, dove Ricci è sovrano per l'originalità scientifica e l'acume storico nel ricostruire e riconoscere l'importanza del rapporto intercorso tra Dante, la sua opera e il milieu storico-culturale della città che gli fu "ultimo rifugio". Una dedizione a Dante che lo porterà nel 1891 a pubblicare quell'autentico gioiello di "biografia critica" che è l'Ultimo rifugio di Dante Alighieri, l'opera che resterà per sempre il suo capolavoro di critica storica e letteraria, in cui riversa tutto l'acume storico e l'"estro narrativo" della sua maturità di studioso, capace di conciliare come pochi altri il fascino dell'esegesi dantesca con la lezione e gli atteggiamenti di quel metodo storico che di lì a poco informerà la sua attività di studioso nella "cura" del patrimonio artistico e monumentale di Ravenna, di cui nel 1897 sarà nominato Soprintendente.
È anche l'opera che segna l'approdo definitivo ad un sistema di pensiero ormai compiutamente elaborato, che permetterà a Ricci di conseguire risultati di prim'ordine in ogni campo del sapere umanistico. E ciò avverrà nelle pagine su Ravenna (1900), chiamata ad inaugurare, non casualmente, la collana dell'Italia artistica, attraverso cui Ricci, promotore e coordinatore dell'opera, porta alla luce i caratteri artistici delle città italiane leggendoli ed interpretandoli in associazione ai valori storici, letterari e civili della Nazione. E nelle opere degli ultimi anni della sua vita: la monumentale documentazione approntata per le Tavole storiche dei monumenti ravennati (1930-34) e quel breve, ma denso saggio, L'Arte portatile (1934) che nel nome del "bizantinismo decorativo" dei monumenti di Ravenna chiude la bibliografia ricciana così come Ravenna con la sua Guida l'aveva inaugurata.
Alla sezione tutta ravennate della prima parte della mostra segue quella bolognese (1878-1893), segnata dalla partecipazione di Ricci alla vita culturale della Bologna carducciana. Sono gli anni in cui a Ricci si schiudono le porte della Zanichelli e quelle che gli aprono la collaborazione alle più importanti riviste dell'epoca come il Propugnatore, la Rassegna Settimanale, la Nuova Antologia e l'Illustrazione italiana: Ricci incarna la figura del poligrafo a tutto campo che affronta temi di pura erudizione o descrizioni di paesaggi, avvalendosi di una scrittura caratterizzata da quel "purismo bozzettistico" che farà la fortuna degli elzeviristi e dei novellieri di questo periodo e che Ricci utilizza magistralmente, intrecciando il sapere tecnico dell'erudito con lo stile e il linguaggio narrativo del novelliere, e che, per tutta la vita, sarà una costante della sua scrittura.
Accanto alle tante testimonianze del Ricci scrittore di prosa, la mostra propone anche quelle del poeta, che, avanti negli anni, egli rinnegherà, "vergognandosene", perché, come ebbe a scrivere, mentre "i pittori, gli scultori, gli architetti, i musicisti anche mediocri, possono fare qualcosa di utile e di gradevole . I poeti, no. I poeti debbono essere poeti... o nulla. Debbono ricreare, commuovere, sollevare, esaltare, o starsene cheti. E se proprio non possono fare a meno di stendere in carta o in rima le proprie debolezze , abbiano almeno il pudore di rimpiattarle o, meglio la saggezza di bruciarle".
Ma Bologna per Ricci è soprattutto la città che segna la svolta del "critico d'arte". Sono gli anni in cui assimila i tratti distintivi della critica positivista, gli anni in cui l'assistente bibliotecario "costituisce", con Olindo Guerrini, allora già Direttore dell'universitaria, "un singolare duetto di eruditi", particolarmente abili nel ritrovare manoscritti e documenti atti a ricostruire la tradizione culturale di Bologna e di Ravenna. Ritrovamenti che immediatamente producono scritti riconducibili ad un percorso che mostra grande simpatia per il tecnicismo di ambito positivista come testimoniano i lavori riguardanti le Cronache e documenti per la storia ravennate del sec. XVI (1882), la trascrizione "diplomatica" della Vita della madre donna Felice Rasponi (1883), tratta da una Miscellanea di Memorie di famiglie ravennati conservate nella Classense, o le tante altre scoperte attinenti "cronache" e "cronisti" ravennati e bolognesi divulgate in riviste di attualità culturale come il Fanfulla della Domenica.
In questo esercizio continuo di ricerca e di scavo condotto in biblioteche ed archivi allarga anche il proprio campo d'indagine mostrando sempre di più un vivo se non esclusivo interesse verso la nuova "critica d'arte" che lo porta ad imboccare definitivamente la via della "critica positiva", la stessa percorsa da "il Milanesi, il Cavalcaselle, il Morelli, il Frizzoni, il Venturi, il Toschi, il Cantalamessa" che "fecero e fanno tuttora molto bene alla storia artistica". Sono gli anni di studio propedeutico alla grande avventura che Ricci intraprenderà all'interno delle più grandi istituzioni museali, quando da Direttore delle Gallerie di Parma, di Modena e di Firenze, da Sovrintendente dei Monumenti di Ravenna, da Direttore generale delle Antichità e Belle Arti, e, infine, da curatore degli scavi dei Fori Imperiali e da Presidente del R. Istituto di Archeologia e Storia dell'Arte, assumerà il ruolo e le funzioni di grand commis della politica giolittiana nella cura e tutela delle bellezze artistiche d'Italia.

Speciale Omaggio a Corrado Ricci - pag. [2008 - N.31]

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