Angelo Biancini

Riflessioni sulla vita dello scultore e ceramista di Castel Bolognese a vent'anni dalla scomparsa

Valerio Brunetti - Responsabile del Museo Civico di Castel Bolognese

Anzulè, cosi era chiamato dagli amici e dai suoi compaesani lo scultore e ceramista Angelo Biancini, è mancato vent'anni fa all'età di settantasette anni.
Il diminutivo di Angiolino (Anzulè in dialetto) non si addiceva molto a questo artista dai modi un po' trasandati che era tutt'altro che piccolo o esile. Di origini popolari, da giovanissimo vinse una borsa di studio che gli permise di formarsi nello studio fiorentino di Libero Andreotti, dove fu notato da Ugo Ojetti come uno degli allievi più promettenti dell'amico artista. Di questo giovane di Castel Bolognese parlerà con Orio Vergani, critico d'arte, che lo avrebbe conosciuto personalmente solo vent'anni dopo. Vergani sarà uno dei principali sostenitori di Biancini, che apprezzava sia sotto il profilo artistico che per quello umano.
Biancini si era rivelato un enfant prodige della scultura: vinse il suo primo concorso a ventuno anni e a ventitre veniva invitato alla Biennale di Venezia. Negli anni '30 partecipa a importanti mostre e concorsi con grande successo. Fu direttore alla Società Ceramica Italiana di Laveno per alcuni anni: in questo periodo frequenta artisti come Annigoni, Martini e Gentilini. Rientrato in Romagna lavora nel suo studio a Castel Bolognese, posto in un ex convento.
Nel 1943 con l'appoggio di Gaetano Ballardini entra come insegnante all'Istituto per la Ceramica di Faenza dove nel dopoguerra sostituirà Domenico Rambelli alla cattedra di plastica. Biancini era giovane, aveva già vinto numerosi concorsi, tra cui anche il Premio Faenza nel 1946, aveva partecipato alla Biennale di Venezia e alla Triennale di Milano, rappresentava in quel momento per la scuola faentina l'innovazione, il nuovo. Biancini era un estroverso arguto e spiritoso. Era benvoluto dai suoi studenti. Con i colleghi non intratteneva grandi rapporti...
Portò il suo studio a scuola che divenne un'autentica fucina di giovani artisti, molti dei quali sono oggi i testimoni della cultura artistica faentina nel mondo. Coinvolgeva gli allievi più bravi nei suoi lavori e li gratificava generosamente. Ceramica, bronzo, pietra e marmo erano i materiali delle sue opere. La sua scultura piaceva: ottimo ritrattista, moderno ma non eclettico, si esprimeva artisticamente in maniera "comprensibile", capacità che piaceva particolarmente alla committenza religiosa. Nonostante non fosse praticante aveva un grande rispetto per la religione: ha realizzato opere grandiose in chiese di tutto il mondo, fino ad ottenere una sala tutta sua ai Musei Vaticani. Tenne rapporti con vescovi, cardinali e papi e con autorevoli politici che oltre alle sue capacità artistiche apprezzavano anche la sua semplicità e franchezza.
Non aveva mai avuto la patente. Si spostava abitualmente in bicicletta tra Castel Bolognese e Faenza e quando pioveva faceva l'autostop: non chiedeva a nessuno ma tutti quelli che lo conoscevano sapevano benissimo che se Anzulè era lì sulla strada era perché aveva bisogno di un passaggio. Anche per la consegna delle sue opere in giro per l'Italia si serviva degli amici castellani: amici veri, quelli dell'infanzia, che incontrava spesso la sera quando si recava al bar per fare una partita a carte. Il successo non lo aveva cambiato ed aveva conservato le sue abitudini di vita paesana.
Ha lavorato fino alla fine della sua vita. In tanti, fino al momento della sua scomparsa, non si erano resi conto della grandezza di questo artista. Non si vantava dei suoi lavori che sono sparsi in tutto il mondo, dal Canada al Brasile, dalla Spagna alla Palestina, dalla Polonia all'Algeria. Nel 1994 Castel Bolognese gli dedicò una grande mostra che diede poi origine all'attuale Museo all'aperto delle opere di Biancini. Ma oggi è l'intera Romagna una grande mostra di suoi capolavori: dalla collina al mare quasi tutte le città conservano qualcosa fatto da Anzulè.


Personaggi - pag. [2008 - N.31]

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