Uniti nel paesaggio

Le riflessioni del Presidente dell'IBC su reti, territorio e paesaggio, in occasione dell'incontro "Governo e riqualificazione solidale del territorio", tenutosi presso l'Assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna.

Ezio Raimondi - Italianista e Presidente Istituto per i Beni Culturali

L'Istituto per i beni culturali nacque in un momento di fervore e si affermò come un progetto d'avanguardia per una Regione che aveva fatto dell'indagine sulla propria realtà e sulla propria cultura una parte della propria scoperta della modernità.

Molto lavoro venne fatto su un'ipotesi di sistema, di insieme, dove le singole realtà - che in quel caso erano soprattutto il mondo dei musei e dell'arte, il mondo naturale e il mondo dei libri e delle biblioteche - non venissero più considerate come parti di un insieme irrelato ma diventassero un discorso comune, con una varietà che nello stesso tempo non negasse la presenza di uno stile comune, di una logica, di un orizzonte in cui, di là dalle differenze, ci si riconduceva anche a un'unità e a un'ispirazione profonde.

Il principio era che non si può parlare di beni culturali se non si rapportano a un insieme, e il primo grande insieme lo chiamiamo "Regione": nasceva quasi dal basso, perché erano le realtà museali, le realtà delle biblioteche, e tutte le altre cose che vi si aggiungevano, a chiedere di essere interpretate e di giungere finalmente a una considerazione comune che diventava tutt'uno con quello che sembrava essere uno sviluppo senza ostacoli.

Anche se poi le cose cambiarono radicalmente, fin dall'origine l'Istituto anticipava che ciò che chiamiamo il mondo dei beni culturali va legato a un'entità più ampia che può chiamarsi paesaggio, se al termine paesaggio diamo delle ragioni nuove rispetto a una vecchia interpretazione che non vedeva la storia legata allo spazio, ma la separava in una sorta di dimensione ideale.
Il paesaggio di cui si parlava nasceva dalle idee della nuova geografia di cui Gambi era un interprete di livello internazionale; e paesaggio - questo è importante - voleva dire un'entità storica, in primo luogo.
Quando un grande storico dell'arte come Henri Focillon in tempi lontani parlava di nazione, diceva che la nazione è una lunga esperienza. La stessa cosa possiamo dirla per una regione: è una lunga esperienza, ed è una lunga esperienza il paesaggio in cui si realizza un'immagine visibile, insieme con altre immagini invisibili della regione.

L'Istituto quindi si portava dietro questa sorta di dialettica, questo bisogno di interpretare le singolarità dentro un insieme, cui dava quel nome non avendone un altro, ma con una logica che non era quella della cultura tradizionale italiana, poco attenta alla dimensione materiale della cultura. Qui invece c'era qualche cosa che veniva dagli anni successivi al 1945: era una cultura internazionale che trovava posto anche nell'orgoglio di un gruppo che tentava di portare avanti convinzioni nuove nel salto delle generazioni e nello scontro che sempre si dà nelle idee. E all'Istituto lentamente venne dato un compito, quello di amministrare in questa logica, per conto della Regione insieme con le Province, quella che oggi è divenuta la legge 18, relativa alle biblioteche da una parte e ai musei dall'altra.
Da quasi dieci anni questa logica si è venuta realizzando di anno in anno in quella che è stata di fatto una concertazione o una negoziazione, dove il punto di vista delle province veniva ripreso da un punto più ampio, che per intenderci chiamiamo "Regione". Si verificavano le differenze e le incongruenze, si discuteva insieme e si arrivava alla fine all'approvazione di una logica comune, che regolava anche quella che diventava poi la distribuzione del budget assegnato dalla Regione; era un'idea di sistema, si diceva così ancora, ma sotto sotto ciò che contava era l'idea del paesaggio, e questo significa che nel momento in cui ci si riduceva a parlare soprattutto di libri, biblioteche, opere d'arte o magari musei scientifici, si trovava di continuo il bisogno di entrare in uno spazio più ampio: erano siti che andavano collocati in un insieme.

E paesaggio a questo punto diventa qualche cosa di molto preciso, di molto definito: non riuscivamo, nel fondo, ad amministrare il "bene culturale-libro" o il "bene culturale-immagine" senza ricondurli a una realtà di cui facevano parte. Ci sembrava di poter affermare che quando parliamo di paesaggio di una regione, in quel paesaggio ci sono sempre anche i libri e le immagini codificate da una tradizione che chiamiamo quella pittorica; e quindi nel momento in cui l'Istituto divideva le sue parti in un momento di ricerca e in un momento di applicazione e realizzazione, si trovava che insieme alle analisi da fare su quello che riguardava il mondo dei libri e il mondo delle immagini bisognava per forza parlare anche di edifici.
Non erano grandi edifici, grandi monumenti le biblioteche? Potevamo ignorarle a questo punto e fermarci soltanto ai libri?

Cominciarono le prime operazioni di catalogazione del territorio, i primi atti di conoscenza della ricchezza che avevamo intorno, che diventava parte essenziale di una nuova logica, per un futuro e per uno sviluppo possibili.
La legge regionale 20 del 2000 indica chiaramente questo: l'assunzione del paesaggio non come un capitolo in più dei beni culturali, ma come il contesto necessario per intendere davvero i beni culturali nella loro concretezza e nella loro varietà.
Il testo della nuova legge 20 si apre proprio parlando del paesaggio come riferimento per le politiche che abbiano un'incidenza territoriale: esso viene posto quindi come una categoria molto più ampia, in una logica in cui si situano anche quelli che chiamiamo normalmente i beni culturali. È un'idea di cultura che viene in questo modo discussa ed è un'idea di cultura che dovrebbe risultare partecipata; in ogni caso è una nozione nuova, che viene proposta ma a cui bisogna dare dei precisi contenuti: che cosa vuol dire esattamente "valore di paesaggio", e "paesaggistico", come aggettivo, che cosa significa?
Probabilmente - e provo a ragionare un poco per qualche congettura di lettore - probabilmente la nozione di paesaggio non è una nozione iniziale, è una nozione finale, che poi usiamo per interpretare.
Ma è un insieme: se non abbiamo un sistema di relazioni che mettono insieme elementi diversi, naturali e culturali, come facciamo a parlare di paesaggio?
Non possiamo parlare di paesaggio se non introduciamo un'idea non di percezione, ma di interpretazione: che cosa interpretiamo come significante di una certa realtà, e perché ci interessa per discorrere del nostro presente? Occorre misurarsi in qualche modo con essa.

Ma mi fermo semplicemente a questo punto. Nel dispositivo della nuova legge 20 è probabile che debba diventare ancora più nitida quest'idea di complessità e di composizione del paesaggio che è l'entità necessaria, l'insieme senza di cui non interpreto ciò che chiamo beni culturali. E per beni culturali non parlo qui di edifici, soltanto di monumenti; dico anche tutti gli altri. D'altro canto come si fa a dire che una grande biblioteca non fa parte di un paesaggio mentale? È un problema che va tenuto presente nel riscrivere la legge, con il criterio che non occorre soltanto avere delle regole chiare ma anche dei concetti chiari, sapere dove ci portano, sapere come governano la nostra intenzione, per diventare uno strumento vero.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2007 - N.30]

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