Bambole e balocchi

Un originale museo dedicato ai giochi del passato è nato nel centro di Ravenna grazie alla passione di un'attenta collezionista.

Franco Gàbici

In tempi passati, quando la società riservava alla donna un futuro esclusivamente di casalinga, alle bambine veniva insegnata nelle scuole medie inferiori l'economia domestica (il corrispondente dei maschi, invece, era il "lavoro", quasi sempre il traforo...) e la bambola costituiva il regalo femminile per antonomasia. Nella famosa poesia di Giovanni Pascoli "X agosto" il padre del poeta faceva ritorno a casa e recava in dono proprio due bambole, a riprova di un antico costume. I maschi, invece, venivano "tirati su" con palloni e soldatini di piombo.

La bambola, dunque, non era semplicemente un giocattolo, ma diventava il simbolo di un modo di concepire una vita in cui le mansioni all'interno della famiglia erano già predefinite. E lo dimostrano queste considerazioni apparse su un articolo del 1895 dove si leggeva: "La donna da ragazza si trastulla con la bambola per prepararsi istintivamente a ben adempiere i suoi lavori allorquando sarà madre di famiglia: la bambola - conclude l'articolo - è la sua prima scuola".

E a questi manufatti del mondo femminile è stato recentemente dedicato a Ravenna un interessante museo, il "Piccolo museo delle bambole e altri balocchi", messo insieme con tanta grazia e passione da Graziella Gardini Pasini, collezionista e studiosa di costumi e di tradizioni. Il graziosissimo Museo è stato allestito in un locale di via Fantuzzi, all'interno del monumentale Palazzo Rasponi Murat.

Varcare la soglia di questo Museo significa davvero entrare in un'altra dimensione, dove si assapora la magica atmosfera del gioco che sanno creare i giocattoli di una volta. Le bambole erano amorosamente accudite dalle bambine, che si trasformavano in sartine per confezionare piccoli indumenti. Ma la bambola costituiva anche un civettuolo strumento di arredo e in diverse case, quando la massaia voleva dare risalto a una bella coperta, poneva in mezzo al letto matrimoniale una bambola elegantemente vestita.

Nel Museo si trovano tutte le tipologie di questi giocattoli, a cominciare da quelli confezionati con il panno (le cosiddette bambole di pezza) e via via fino a quelle di celluloide, che avevano gli arti snodabili. Famosissime erano le bambole Lenci, che prendono il nome da una particolarità di panno morbido e resistente, ed è curioso ricordare come il nome Lenci, che deriva da un nome tedesco, nasconde anche l'acrostico latino: Ludus Est Nobis Constanter Industria.

Grande successo ebbero anche le bambole parlanti che dopo opportuni "scuotimenti" emettevano un pianto, mentre altre ancora ripetevano la parola "mamma". Di grande effetto erano le bambole che una volta adagiate riuscivano a chiudere gli occhi.

Alcune bambole sono firmate e portano il nome del design, come la graziosa Kewpie, opera dell'americana Rose O'Neil. Si trattava di una bambola interamente in bisquit e con gli arti snodabili molto diffusa negli anni Venti soprattutto a causa del suo basso costo. È una bambola tutta speciale, conosciuta come Amore o Lola (in Italia aveva il suo alter ego in "Cirillino", costruito da Ernesto Peruggi), che era oggetto di doni fra innamorati. Il suo nome, infatti ("Kewpiw" si pronuncia "Kiupì"), richiamava Cupido, il dio dell'amore.

Uno degli aspetti più affascinanti per chi giocava con le bambole era il loro vestirle con abitini eleganti e anche questo aspetto è molto curato nella mostra. Si trova perfino un piccolissimo ventaglio per bambola che risale al Settecento, a testimonianza di un giocattolo che è sempre stato usato per la delizia delle bambine.

Nel Museo, però, non si ammirano solamente bambole, ma anche certi giocattoli che facevano, per così dire, da contorno e che in qualche modo completavano il gioco: piccole stufe economiche e servizi di tazzine in miniatura.

Va da sé che un Museo di questo genere non vuole essere una banale esposizione di pezzi, ma sottende anche un valore didattico. Dalla "bambola", infatti, partono itinerari sul nostro come eravamo e sulla evoluzione del giocattolo stesso. Anche la bambola, dunque, può essere considerata uno strumento per fare cultura.

Nuovi progetti - pag. 18 [2007 - N.28]

[indietro]