La nascita di un mito

Cimeli garibaldini al Museo del Risorgimento di Ravenna.

Claudia Giuliani - Dirigente Istituzione Biblioteca Classense di Ravenna

Giuseppe Garibaldi fu il fulcro della passione risorgimentale ravennate. La sua vicenda intrise per sempre degli umori eroici e tragici della sua fuga e della morte di Anita le terre ravennati e gli animi dei patrioti.

Al centro delle nostalgiche raccolte che essi vollero realizzare posero dunque proprio i cimeli garibaldini, accanto agli oggetti, alle carte, ai ricordi che testimoniarono la loro personale partecipazione alle lotte. Gli oggetti collezionati e custoditi nel tempo, dalla venuta di Garibaldi in poi, assunsero una forza evocativa sempre più forte, di pari passo con la mitizzazione, e anzi la "santificazione" che venne operata attorno alla figura dell'eroe, della sua famiglia, Anita prima fra tutti, e anche dei luoghi percorsi e vissuti sul nostro territorio e altrove, fino alla lontana Caprera. Conscio del proprio carico di pathos Garibaldi usava donare agli amici e sostenitori - e i salvatori ravennati che lo soccorsero durante la Trafila furono tra questi - oggetti e ritratti a lui appartenuti.

La volontà di rendere pubblici questi oggetti, consegnandoli alla città e quindi alla posterità vide una prima manifestazione nella consegna del bel mantello indossato dall'eroe durante la fuga, esotico e accurato oggetto di vestiario, di provenienza sudamericana, donato dal salvatore Ercole Saldini al Comune nell'occorrenza della morte di Garibaldi, che ora si espone nel Museo del Risorgimento abbinato ad un rozzo cappello da pescatore, sempre indossato durante la fuga. Gli oggetti di vestiario si accompagnano al bastone, da lui donato all'amico ravennate Antonio Ricci, e ad altri ricordi, ormai più vicini alla tipologia reliquiaria, quali i sigari donati a Guaccimanni, non giunti fino ai nostri giorni, la scheggia tolta dal masso ove fu inumato a Caprera, il ramoscello prelevato dalla catasta di legno preparata dell'eroe per la sua mai avvenuta cremazione.

L'esposizione attualmente visibile presso il Museo del Risorgimento aperto presso il Sacrario dei Caduti della città di Ravenna, consente appunto di cogliere il passaggio del cimelio garibaldino dal ricordo-testimonianza alla reliquia attraverso un percorso che, dopo essersi esteso ad Anita, di cui nulla di certo rimane, bensì solo un tentativo di fissare la memoria in oggetti di presunta appartenenza, quali gli stivali, o la coperta in cui fu avvolto il suo corpo durante le ultime ore, passa a fissare nella circolazione del ritratto dell'eroe la progressiva beatificazione a cui la crescente esigenza di una nuova religiosità laica lo andò sottoponendo.

Ecco allora i bei ritratti fotografici, spesso con dedica, e i santini fotografici che scivolano inevitabilmente nel feticismo come nel caso del ritrattino avvolto da ramoscelli intrecciati provenienti dalla cascina Guiccioli, realizzato in epoca tarda dal fascio di Piangipane e consegnato come omaggio al museo, o la serie di ritrattini dell'eroe ferito in Aspromonte, le litografie colorate e le oleografie che raffigurano Garibaldi, evocandone l'affascinante eroica figura, solo, come nel noto ritratto di Lafosse (1864), o in quello di Borzino che lo raffigura in veste di generale sabaudo, in clima evidentemente di conciliazione monarchica, o con Anita morente nella Landa Pastorara (dal dipinto di Emilio Paggiaro), e infine con la famiglia a Caprera.

La forza e l'immediatezza dell'iconografia popolare garibaldina si circonda delle numerose, affettuose testimonianze dei garibaldini, giubbe, fazzoletti, bisacce, armi, e infine lettere autografe. I brevi, laconici testi inviati da Garibaldi agli amici, composti in una grafia ordinata, e leggibile, ma spesso sgrammaticati, alludenti ai doni speditigli dai pescatori di valle ravennati - le anguille marinate-, a favori chiesti e sempre sostenuti - come la concessione del piatto, una specie di piccola pensione di sostentamento al garibaldino Pietro Sarti - ma anche interessanti missive su temi di attualità, quale la questione nizzarda nella corrispondenza con Eugenio Lavagna, tipografo e libraio ravennate originario di Nizza, o nella interessantissima lettera all'amico Specchi in cui vengono espresse benevole ed ammirate valutazioni della figura del Passatore, lettera recentemente acquisita dalla Biblioteca Classense, ad integrazione della propria ricca collezione risorgimentale.

Un percorso garibaldino, quello attraverso il Museo, che aspira dunque a rendere leggibile il mito nella sua progressiva evoluzione, consentendone una più meditata comprensione storica.


Speciale Epopea Garibaldina - pag. 13 [2007 - N.28]

[indietro]