Francesco Talanti

Il genio poliedrico del dantista che tradusse la Divina Commedia in dialetto

Franco Gàbici - Capo Reparto delle Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Francesco Talanti, il famoso santalbertese conosciuto soprattutto per aver tradotto nel nostro dialetto alcuni canti della Divina commedia, moriva quarant’anni fa, nel giugno del 1946, in un ricovero di Rimini.
Nato a Sant’Alberto nel 1870, dimostrò fin da ragazzo vivacità intellettuale ma anche stravaganze e atteggiamenti sopra le righe al punto che i suoi compaesani lo chiamarono subito “Cecco e matt”. Ma Talanti non fu solamente uno scrittore e un poeta. Fu un appassionato dantista, insegnante di matematica, poliglotta (conosceva una mezza dozzina di lingue) e autore di saggi come L’uomo e la parola, uno studio sulle teorie evoluzionistiche di Darwin che Talanti dedica alla memoria di Olindo Guerrini. Sospinto da una innata irrequietezza, qualità assai strana per un romagnolo, condusse una vita da giramondo, quasi da zingaro, ma dovunque lo condussero le vicende della vita si fece sempre apprezzare per le sue doti.
Insegnò matematica a Intra, a Luino e a San Gallo e scrisse un Algebra Handbuch che fu tradotto in giapponese dal professor Sakuma e adottato dal liceo Vaseda di Tokio. Tradusse anche in francese gli Elementi di geometria di Faifofer. Come cultore di Dante organizzava letture dei canti aiutandosi con proiezioni di ombre cinesi da lui stesso costruite. Spirito libero e insofferente, fu anche un grande polemista come dimostra Sottovento, un saggio del 1930 nel quale dedica pagine e pagine alla critica spietata e a volte anche cattiva di Alfredo Oriani al quale consiglia di “mettersi a studiare la grammatica, e starsene zitto fin che non l’abbia imparata”. Non risparmia neanche Gabriele D’Annunzio: “A Gabriele d’Annunzio sia gloria ed onor per le sue gesta di guerra, se bene un certo Giuseppe Garibaldi abbia fatto qualche cosa per l’Italia, con meno rumore e miglior mercato”.
Interessanti anche alcune opere dedicate alla sua terra, In Romagna e Le spiagge di Romagna, quest’ultima illustrata con immagini un po’ osé che gli procurarono non pochi guai. E se Guerrini si scagliò contro Carlo Denina reo di avere affermato che a Ravenna non nacquero uomini degni di passare alla storia, Talanti se la prende invece con Albano Sorbelli che nelle sue Bellezze d’Italia non cita Guerrini: “Sarebbe curioso sapere come si fa – commenta Talanti – a scrivere la storia della letteratura italiana della seconda metà del secolo XIX senza parlare di Guerrini”. Talanti, dunque, tiene alta la bandiera della Romagna e la difende a spada tratta dai denigratori. Dante affermava che in questa terra ci sono solamente “velenosi serpi” e Talanti, vuoi per giustificare Dante vuoi per difendere la sua terra, dice che Dante intendeva riferirsi agli avventurieri, ai tiranni e ai signorotti e conclude dicendo: “si sa che Dante non ha mai detto bene di nessuno, salvo di Beatrice e dell’imperatore Arrigo VII”.
Assiduo frequentatore della Biblioteca Classense, fu in amicizia con Santi Muratori che lo incoraggiò a riscrivere certe sue opere che andarono distrutte durante la guerra. Un suo lavoro sulla storia d’Italia era approdato perfino da Mondadori, ma anche questo andò distrutto: “Tutta una vita spesa in studi accurati, severi – scrive Giulio Finotelli – condotti con scrupolo e onestà e genialità, con una sempre insaziata sete di sapere, dispersi al vento della bufera infernale che sconquassava il mondo”.
E chiudiamo questo ricordo di Talanti con una curiosità, tratta da una lettera del 1940 con la quale invitava a colazione l’amico Santino Muratori proponendogli i “taglierini con la chitarra”: “è la chitarra – spiega Talanti – un arnese da cucina da me portato dall’Abruzzo e che merita di essere adottato e diffuso in Romagna”. Talanti fu davvero un genio universale!

Personaggi - pag. 13 [2006 - N.26]

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