Il Museo virtuale, strumento per la valorizzazione e la migliore fruizione del patrimonio culturale locale

Pier Domenico Laghi - Dirigente Settore Cultura della Provincia di Ravenna

Da quando Nicolas Pioch, studente americano con frequentazioni parigine, a metà degli anni novanta del secolo scorso (attenzione sono trascorsi poco più di dieci anni) creò il primo network di diffusione artistica del mondo, il “WebMuseum”, fatto inizialmente per diletto personale (“I made this private exhibit for my own pleasure”) ma che oggi conta filiali sparse nelle università di una ventina di Paesi e registra più di 200.000 visite a settimana, di strada ne è stata fatta. Solamente per l’Italia l’Università di Bologna ha censito tra strumenti guida, musei virtuali e siti relativi ai musei oltre 40 realtà e ne ha segnalato oltre 50, ma sicuramente i dati sono per difetto e la realtà è più articolata e complessa.
Il primo problema da porsi è cosa si debba intendere per “museo virtuale”: una delle forme con cui i musei cercano di promuoversi, il sito del museo materiale, un sito che propone opere sganciate da un museo reale, una visita virtuale al museo reale, la memoria di esposizioni tematiche temporanee; il museo dell’invisibile o il museo dell’invisitabile, ed altro ancora.
Ognuna di queste possibili dimensioni meriterebbe una considerazione a sé ed un approfondimento; con lo Speciale di questo numero ci siamo proposti di guardare - a partire da una situazione locale e nell’ambito di un contesto di collaborazioni regionali - al tema dei musei virtuali partendo da dentro ai musei, dalle esperienze fatte e dai progetti in corso, per misurare problemi e potenzialità di questo strumento rispetto ad una più incisiva valorizzazione e ad una migliore fruizione del patrimonio culturale locale.
Qui e per ora abbiamo assunto il termine museo virtuale nel significato di “strumento per una più incisiva valorizzazione ed una migliore fruizione del patrimonio culturale locale”, con tutti i limiti di questa definizione, ma anche con tutto il potenziale di lavoro che può contenere.
Come è tradizione di questa rivista, ancora una volta l’analisi è pluridirezionale; tra i temi affrontati troviamo: il nesso tra catalogazione e restituzione grafica sul WEB dei beni culturali; le possibilità di cooperazione tra i musei attraverso l’automazione (progetto CAMUS), progetto che esprime anche un potenziale per costruire nuove relazioni tra i musei e il territorio di riferimento; le sperimentazioni fatte alle Pinacoteche di Ravenna e di Bagnavallo.
Opportunamente, per non scivolare nello strumentalismo, lo Speciale contiene nell’articolo di Diego Galizzi una provocazione da tener sempre presente: pur partendo da punti diversi e considerando le diverse potenzialità degli strumenti informatici disponibili, “dal punto di vista teorico la questione tocca da vicino il nocciolo della finalità stessa del museo”.
Non tanto per contrapposizione, quanto per sottolineare il legame da mantenere tra strumenti e territorio, è importante richiamare, nel contesto di quanto sopra considerato, gli articoli “Rivive Villanova della capanne” e “Nella vecchia fattoria” che propongono una lettura che può coniugare la cultura materiale con le potenzialità della virtualizzazione.
Come per lo Speciale sul tema delle donazioni, anche in questo caso possiamo concludere che abbiamo posto un argomento, ma è rimasto molto lavoro da fare per i prossimi numeri e per altri approfondimenti.
Una risorsa per nuovi approfondimenti è, tra le altre opportunità, la biblioteca del Settore Cultura della Provincia di Ravenna; in questo numero Massimo Marcucci dà conto dei primi cinque anni di vita di questa biblioteca: uno strumento piccolo ma specialistico e – come molti prodotti e servizi di nicchia - qualitativamente connotato.

Editoriale - pag. 3 [2006 - N.26]

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