Favolosi pini

La pineta di Ravenna, definita ornamentum Italiae, fu fonte di ispirazione per famosi poeti, letterati e musicisti

Franco Gàbici

Per Papa Sisto V la nostra pineta era “ornamentum italiae”, mentre Francesco Ginanni definì il grande bosco ravennate “il più celebre e il più ragguardevole dell’Italia, che ben fu conosciuto per un carattere distintivo di questa città”. I “favolosi pini”, come li definì Giacomo Zanella, furono anche fonte di ispirazione per molti poeti e Giovanni Pascoli era convinto che la “selva oscura” e la “foresta spessa e viva” ricordate da Dante facessero preciso riferimento al grande bosco di pini, un tempo rigogliosissimo, che sembrava proteggere la città di Ravenna: “Ché la Comedia – scrive Pascoli – nacque nella sua selva o Ravenna. La foresta dell’Eden somiglia alla pineta di Classe. E la selva con cui comincia il poema è quella stessa foresta. Chi sa? Forse Dante ci si trovò in quei primi giorni dell'esilio divenuto allora definitivo, in un momento di tempesta. Forse vi si indugiò, forse anche vi si smarrì di notte... La vide poi, di giorno, quando le eriche ai piedi dei pini erano gemmate dei loro bocciolini rosei, e fiorivano colchici e i dianti e le radicchielle...”.
Anche Giovanni Boccaccio si ispirò alla nostra pineta ambientandovi la novella di Nastagio degli Onesti nella quinta giornata del Decamerone e in tempi più recenti ricordiamo Gabriele d’Annunzio e George Byron che le dedicarono versi e ricordi.
Difensore e amante della “sua” pineta fu Santi Muratori, l’indimenticato biblotecario della Classense, che spesso vi si recava per immergersi in quei suoi paesaggi suggestivi oltre i quali già si rendeva evidente lo scempio dell’uomo: “O mia pineta – scriveva Muratori – eppure tu sei ancora bella. Più bella forse, nella tua lenta e spasimosa agonia. Ti amiamo perché ognuno di noi ritrova in te la sua fanciullezza mesta, la sua purità e il suo sogno”. E pensando al cimitero che sorge proprio accanto al grande bosco, Muratori così continua: “né la morte ci è greve, se pensiamo di poter dormire tra le tue sacre ombre ospitali”.
Considerando lo scempio della pineta Diego Valeri, che visse a Ravenna alcuni anni, immagina che Francesco Ginanni gli passi questa considerazione: “Amico mio, che cosa ameranno gli uomini quando saranno riusciti a disamorarsi anche delle piante, delle sorelle piante, bellissime e silenziose?”
Il forlivese Melchiorre Missirini all’inizio dell’Ottocento ricorda in un suo poema la nostra pineta indicandola fra le cose belle della città e anche il medico ravennate Ruggero Calbi le dedicò belle pagine.
Alessandro Cappi in un sonetto del 1844 dice che “non cantar di questa selva di pini è una impossibil cosa”. Nel 1841 Jacopo Landoni dedicò alla nostra pineta un lungo poema in sei libri (Il pineto) che descrive il grande bosco in tutte le sue parti, mentre nel 1886 Silvio Busmanti pubblicò un idilio dal titolo La pineta.
Nel 1905 il ravennate Guido Franchi pubblicava Profumo di resina, una raccolta di versi ispirati alle bellezze della nostra pineta e pochi anni più tardi, nel 1911, Luigi Orsini dava alle stampe L’Allodola all’interno del quale si trovano due capitoli dedicati alle bellezze di ravenna e, in particolare alla pineta. Anche il futurista Oscar Mara ricordò il gran bosco ravennate (“No, non è il mar che chiama: è la pineta/che tutta trema sotto la carezza/lenta e profonda della calda brezza,/e ride e geme con ansia segreta”) e un suo ritratto lo coglie sdraiato sull'erba all’ombra dei pini. Bellissime pagine si trovano in Quando c'era la pineta (Edizioni del Girasole) di Dante Arfelli, che ricorda il passar delle stagioni: “Quanti anni ho vissuto a cogliere i primi segni del mutarsi delle stagioni dai tronchi e dalle ombrelle degli alberi (.) il linguaggio del bosco forse ora mi sarebbe diventato incomprensibile. E allora, se fosse così, non rimpiango che questa pineta sia finita. Uccisa dalla guerra, come la mia infanzia, come l’infanzia di tutti noi”. Il grande bosco ravennate ispirò il musicista Luigi Fedeli, definto dal maestro Pratella “musicista geniale e sicuro, padrone di tutti i mezzi espressivi e tecnici”, a comporre Meriggio nella pineta ed era tale il fascino che gli suscitava la sua pineta che più volte aveva espresso il desiderio di poter avere una casetta in mezzo ai pini per poter vivere e comporre le sue musiche.

Speciale centenario della Legge Rava e Beni ambientali - pag. 12 [2005 - N.23]

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