L'arte dei bambini

Un testo di analisi delle capacità artistiche dei bambini scritto da Corrado Ricci e pubblicato nel 1887

Franco Gàbici - Capo Reparto delle Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Se il giovane Corrado Ricci, complice la giornata di pioggia di quell’inverno bolognese del 1882, non fosse passato casualmente sotto il portico che conduce al Meloncello, probabilmente non gli sarebbe venuta l’idea di considerare attentamente l’arte dei più piccoli. Sotto al portico, infatti, ebbe modo di ammirare una estemporanea esposizione di lavori "artistici" e "poetici" (oggi noi li chiameremmo "graffiti"), "di poco valore estetico" come la giudicò lo stesso Ricci, che tuttavia lo indussero a riflettere su questo tema che di lì a pochi anni si sarebbe concretizzato nello studio L’arte dei bambini, pubblicato da Zanichelli nel 1887, dopo essere apparso a puntate nello stesso anno sulla rivista «Il Caffaro» di Genova: "La tristezza del giorno, del luogo e dell’anima, che mal comportava gli epigrammi sconci e feroci di coloro che avevano lavorato nella zona superiore - scrive Corrado Ricci all’inizio del suo studio - mi conciliò con l’arte ingenua dei bambini e mi suggerì l’idea di questo studio". Nessuno, prima di lui, aveva affrontato seriamente il problema, troppo spesso liquidato in maniera frettolosa senza considerare che un disegno "infantile" è in realtà un vero specchio dell’anima del fanciullo e sottende interessanti problemi di estetica e di psicologia. Era un po’ come ridare dignità ad un "genere", che ben presto si sarebbe ritagliato spazi di credibilità presso gli austeri addetti ai lavori. Lo dimostra il fatto che subito dopo la pubblicazione ricciana, un docente dell’Università di Lipsia promosse intorno al 1900 una raccolta di materiale grafico infantile proveniente da tutto il mondo per creare nella città tedesca un vero e proprio centro di documentazione e di consultazione. L’arte dei bambini resta ancora oggi un testo validissimo a testimonianza delle straordinarie capacità critiche del Ricci, che seppe leggere, come altri non avevano mai fatto prima di lui, un materiale spontaneo e non viziato da estetismi. Il senso del bello, scrive Ricci, è sicuramente meno sviluppato nei bambini rispetto agli adulti, ma in compenso "è più puro, come è più puro un fiume quando consiste in un filo d’acqua, che non presso alla foce, quando ha già raccolta la furia d’altri torrenti e il fetido contributo delle cloache". Lo studio di Ricci, in ultima analisi, è in fondo un invito ad esplorare le profonde radici dell’uomo e sembra quasi "inventare" una estetica del fanciullo che potrebbe essere paragonata alla poetica del fanciullino di Pascoli. In fondo erano figli della stessa terra e vissero e respirarono la stessa aria. Scriveva Hermann Hesse che dentro di noi c’è una strada che porta all’uomo e un’altra che porta al fanciullo. Ricci, come Pascoli, trovò interessante camminare verso il "fanciullo" e ancora una volta aveva visto giusto, come dimostrano queste pagine che ancora oggi vengono consultate dagli educatori per esplorare in maniera più consapevole il complesso mondo dell’infanzia.

Speciale didattica museale - pag. 15 [2002 - N.15]

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