Divagazioni sul Museo del Lavoro Contadino nelle vallate del Lamone, Marzeno, Senio di Brisighella

Pietro Albonetti - Docente all'Università di Bologna

Ho visitato il Museo del Lavoro Contadino nelle Vallate del Lamone - Marzeno - Senio nella Rocca di Brisighella dopo ventuno anno. Quando fu aperto nel 1977 detti una piccolissima collaborazione; oggi sono solo un visitatore, accompagnato dall'amico che per tutto questo tempo ha retto e fortificato il Museo. Mi viene qualche parola militaresca e ripeto l'impressione di allora: gli strumenti domestici e campestri dei contadini sono entrati nell'abitazione del Capitano (abitava con un certo numero di armigeri; donne di casa non ce n'erano, o si?), come attirati da una calamita. I contadini non hanno amato la guerra, ma l'hanno conosciuta e sapevano che per mitigarla conveniva avere qualche capitano dalla propria parte. In fondo questi arnesi si sono ricoverati presso una figura dominante in grado di proteggere e di angariare. Il secondo pensiero mi ha portato all'inizio del secolo che sta per finire, grosso modo all'età piena dell'agricoltura decimillenaria ormai sul limite del grande esodo e della grande meccanizzazione. Era l'epoca in cui certe avanguardie artistiche (il futurismo di Marinetti, per esempio) proclamano la fine dei musei, come cellule di passatismo e inneggiano a uno svecchiamento dove anche la guerra sarebbe stata salutare. Abbiamo visto!. Della guerra e dei guerrieri non parlo più, ma sui musei ancora qualche riga. La sfida contro i luoghi di conservazione non so se in Italia abbia perso o vinto. Credo che il rigoglio dei musei di questo fine secolo sia al punto più alto in tutto il mondo e i visitatori sono folle in movimento. All'estero come si sa, l'organizzazione è in genere più avanzata e funzionante. musei contadini e analoghi rispetto ai grandi concorrenti storici sono più recenti e quasi concomitanti al formarsi della nostalgia per il mondo agricolo, che scompariva. Musei contadini e analoghi rispetto ai grandi concorrenti storici sono più recenti e quasi concomitanti al formarsi della nostalgia per il mondo agricolo, che scompariva. Nella mia area nativa apprezzo il Museo di Brisighella. Le numerose visite sono una conferma oggettiva. I commenti degli altri visitatori, lì dentro, sono tra i più vari e divertenti: dai giovani ai vecchi un campionario incredibile interessato alle cose esposte, al panorama e forse anche alle strettoie e alle scale che salgono dentro e fuori in cima alla rocca. La passeggiata (ma si arriva comodamente anche in macchina) può essere un pretesto, oltre che uno scopo preciso. Dopo ventuno anno il risultato è sicuro, ma gli oggetti da 535 sono ora più di 2400: stipatissimi (non si possono attaccare fuori dalle feritoie come il bucato): stringono non solo le rocche della nonna e le mezzette del nonno, ma gli aratri, le botti, i telai, etc. Bisogna estendersi: non voglio calcare sui vizi della memoria ma sul valore della conservazione. Un ciclo millenario dell'attività umana fondamentale (come è l'agricoltura) è al centro stesso dell'operazione. Può darsi che sempre di meno le nuove generazioni sappiano del passato e che dalle pagine scritte siano annoiate: non resta che squadernare (è un dovere) "le morte stagioni" in un modo serio e rigoroso nella "presente e viva". A Brisighella i presupposti ci sono, ma oggi sono stretti.

Speciale musei etnografici - pag. 6 [1998 - N.3]

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