Contesto e identità. Gli oggetti fuori e dentro i musei

Franca di Valerio - Istituto per i Beni Culturali

Nella prospettata e, pare, imminente riforma dei beni culturali in Italia, più millantata che realmente perseguita, ancora una volta la vasta tipologia di patrimonio indicata con la comune denominazione di beni demoetnoantropologici è stata ignorata dai legislatori come se si trattasse di una realtà marginale e, tautologicamente, folkloristica dell'identità culturale del nostro paese.E così, ancora una volta, anche il convegno Contesto e identità. Gli oggetti fuori e dentro i musei, organizzato a Parma il 16 e 17 aprile di quest'anno dall'Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia Romagna, dalla Provincia di Parma, dalla Soprintendenza ai Beni Storici e Artistici di Parma e Piacenza, dai Comuni di Collecchio e di Fornovo Taro e dal Parco Ragionale del Taro, ha prestato la scena alla presentazione di una serie di cahiers de doléances sulla condizione di questo settore, mentre le esperienze illustrate dalle istituzioni straniere invitate, il British Museum con il Museum of Mankind, la Smithsonian Institution con il Nationale Museum of the American Indian, il Nordiska Museet di Stoccolma, il Musée des Arts et Traditions Populaires di Parigi, hanno inevitabilmente sottolineato, di nuovo, la distanza siderale che separa il nostro sistema delle politiche culturali e non solo quelle relative al patrimonio, da quello in cui queste istituzioni sono inserite e agiscono. I musei e le collezioni demoetnoantropologiche nel nostro paese si collocano in un quadro istituzionale che vede da un lato due uniche istituzioni statali, il Museo preistorico Etnografico Nazionale "L. Pigorini" di Roma, che è appunto preistorico ed etnogtrafico secondo una concezione che risale ad inizio secolo e che forse sarà aggiornata con a riapertura delle varie sezioni riallestite proprio in questi ultimi anni, ed il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni. Popolari alla cui direzione è stato posto, nel rinnovare di recente la carica, uno storico dell'arte, a ribadire la gerarchia delle competenze disciplinari di cui si ha convinzione in questo Paese. Dall'altro lato troviamo una museografia e un collezionismo diffuso che fanno capo o riferimento agli enti locali, o spesso a privati cittadini. La riflessione museografica sugli oggetti e sulle collezioni di oggetti, soprattutto sui modi e sulle possibilità di farne oggetti esemplari ai fini della trasmissione e comunicazione culturale, in sostanza documenti delle relazioni tra essi e gli uomini e tra gli uomini ed uno specifico contesto, quasi una sorta di traduttori per coloro che visitano la raccolta o il museo, ha fatto emergere due diverse modalità di approccio teorico che possiamo riassumere molto sinteticamente, e facendo torto alla complessità della questione, in una che identifica il museo come il luogo dell'apprendimento razionale e scientifico, ed in un'altra per cui il museo diventa uno scenario dove il visitatore viene "attivato" anche attraverso la propria componente emozionale. Paradossalmente, a rivelare molti elementi di contatto, inconsci naturalmente, con le museografie straniere presenti è stata una collezione considerata fino a qualche tempo fa un outsider dall'ambito ufficiale dei musei demoetnoantropologici italiani: quella di Ettore Guatelli, il collezionista che ad Ozzano Taro, in provincia di Parma, ha creato un'eccezionale impresa museografica, testimoniale e scritturale, raccogliendo oggetti di ogni tipo, testimonianze della gente, schede, idee, discorsi, una sorta di monumento alla intelligenza pratica della gente comune, dei modi di consumare, usare, operare, pensare l'ambiente e le risorse. E questa è la stessa logica che sottende, ad esempio, all'attività di acquisizione del Nordiska Museet, il quale nella propria attività di documentazione sull'età contemporanea include perfino l'acquisizione di mobili Ikea, senza che nessun curatore o museologo svedese abbia mai protestato invocando la profanazione della sacralità attribuita al luogo museale e agli oggetti che videvono essere collocati. E questo non certo a causa della tiepida reattività scandinava.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [1998 - N.3]

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