Il Giubileo diocesano del 1576

Mario Pierpaoli - Storico ravennate

Girolamo Rossi (1539-1607), storico e cronista scrupoloso dei fatti ravennati, nella sua monumentale storia parla quattro volte dei giubilei, tre per accenni e una volta per esteso. All'anno 1300 ricorda che "papa Bonifacio per primo chiamò secolare l'anno seguente, detto giubileo". Senza altri riferimenti passa poi ai fatti cittadini di questo anno. Nell'anno 1390, in tempo di grave carestia, papa Bonifacio IX apre il terzo giubileo, che il Rossi ricorda così: "Avendo Bonifacio aperto il terzo anno giubilare, tutta l'Europa si mosse dalle proprie sedi e dirigendosi verso Roma con una folla infinita e continua di gente invase tutte le strade e la città stessa per l'intero anno, tanto che si scrive che ogni giorno circa 400 persone passavano da Ravenna per conseguire un bene così prezioso". E' questo il primo riferimento alla nostra città durante un giubileo. Per il giubileo del 1500 abbiamo soltanto il ricordo che papa Alessandro VI inaugura l'anno secolare, "notevole per i nuovi accadimenti e per lo sconvolgimento di tutta l'Italia". E siamo al giubileo dell'anno 1575 promosso da papa Gregorio XIII. Il Rossi vi partecipa all'età di 36 anni e ci lascia notizie di testimonianza diretta. Già nel 1574 "i Ravennati, per la loro insita devozione, al fine di assistere i pellegrini che sarebbero affluiti a Roma, designarono quattro senatori, che con l'arcidiacono Ostasio Ginanni provvedessero a sistemare le strade fuori città, a rendere sicuri i viaggi e a predisporre tutte le altre cose in città; i quadrunviri erano il capitano Cesare Rasponi, i cavalieri Bonifacio Spreti e Bernardino Mengoli, il giureconsulto Leonardo Morigi". Arcivescovo di Ravenna era allora il cardinale Giulio Feltrio Della Rovere e preside della provincia il bolognese Filippo Sega, il quale all'inizio del 1575 veniva sostituito dall'orvietano Lattanzio Lattanzi. Nell'anno del giubileo molti Ravennati andarono a Roma e tanti anche a piedi. Poiché non tutti avevano potuto andare in pellegrinaggio e anche per richiesta dell'arcivescovo Giulio, papa Gregorio, con lettera del 20 gennaio 1576, concesse a tutti i fedeli della città e diocesi di Ravenna e a tutti i pellegrini che arrivassero a Ravenna la possibilità di ottenere l'indulgenza plenaria, come se avessero visitato le quattro basiliche romane nell'anno stesso del giubileo. Per questo pellegrinaggio locale così prosegue estesamente la relazione del Rossi (secondo la mia traduzione): "Dopo la confessione dovevano visitare devotamente quattro chiese, e cioè la metropolitana e altre tre chiese, che dovevano essere indicate dall'arcivescovo o dal suo vicario, per quindici giorni continui o intervallati; per comodità dei diocesani bisognosi, malati, vecchi, donne incinte, monache, vedove, altre persone legittimamente impedite, congregazioni e anche per altri motivi, come sembrasse opportuno all'arcivescovo o al suo vicario, i giorni potevano essere ridotti, anche a uno soltanto, e fissati per qualsiasi chiesa si volesse o di una rocca o di un castello o di altro luogo di questa diocesi. Lì dovevano recitare cinque volte il Padre Nostro e l'Ave Maria, per ottenere il perdono dei peccati, e devotamente pregare Dio per la conservazione della pace tra i principi cristiani, per l'estirpazione delle eresie e per la diffusione della santa Chiesa Romana. Per questo tra i sacerdoti, che l'arcivescovo o il suo vicario avessero designato per ricevere le confessioni nelle chiese stesse, potevano scegliersi quelli, dai quali, secondo il rito assolti col salutare sacramento della confessione, fossero liberati da qualsiasi accusa o interdetto. Tutto questo potevano di nuovo ottenere anche quelli che fossero stati a Roma. A Ravenna, indetta una solenne processione di tutti gli ordini, queste norme furono spiegate il 13 febbraio e l'arcivescovo Giulio alla Basilica Ursiana aggiunse da visitare le chiese di S.Apollinare Nuovo, S.Giovanni Evangelista e S.Vitale. E' incredibile a dirsi con quanto entusiasmo e con quanto affollamento di cittadini e di diocesani furono accolte. Per tutto il corso dell'anno i contadini e una moltitudine quasi infinita del resto della diocesi, in lunghe file, affluivano in quelle chiese, preceduti dal vessillo della Croce. In città poi tutti gli ordini di persone consacrate e le congregazioni dei laici, con grande devozione, riempivano le strade da ogni parte, cittadini, uomini, donne, bambini e vecchi; parecchi giovani nobili, indossando una grossolana veste di lino che lasciava scoperti soltanto gli occhi, e molti a piedi scalzi, portavano avanti l'immagine di Cristo Crocifisso e sul far della sera, a due a due, procedevano verso queste chiese; al calare delle tenebre ciascuno teneva in mano una torcia accesa, offrendo grande spettacolo di religiosità. Lo stesso vescovo Maremonti, il vicario, seguendo fino a notte tarda ora quelli ora le suddette congregazioni popolari, mentre recitavano i salmi di Davide, faceva crescere meravigliosamente la devozione".

Speciale Giubileo - pag. 10 [2000 - N.7]

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