Il 'patrimonio' vista da un archivista

I beni archivistici e la loro fondamentale funzione per la tutela e la valorizzazione di tutti i beni culturali

Marco Carassi - Già Soprintendente archivistico per il Piemonte, la Valle d'Aosta e la Lombardia

Si dice che la vida es del color del cristal con que se mira e naturalmente anche gli archivisti vedono il mondo dal loro particolare punto di vista.
Ma, fortunatamente, da qualche tempo a questa parte, tutti i professionisti del patrimonio culturale hanno ampliato le loro prospettive, rendendosi conto dei vantaggi di un approccio collaborativo che vada oltre una passiva difesa dei tradizionali confini disciplinari. Per rendere fruttuosa tale necessaria interazione, non si può certo sacrificare la ricchezza delle migliori conquiste culturali di ciascuna professione, né si può dimenticare che diversi tipi di beni hanno specifiche esigenze di trattamento e descrizione. Non si possono dunque costringere competenze e metodi degli uni e degli altri sul letto di Procuste di un compromesso di potere o di un minimo comun denominatore. Occorre invece esplorare insieme nuove vie per dare al cittadino una offerta integrata e, a monte, cercare un arricchimento reciproco delle conoscenze e dei metodi della tutela e della messa in valore del patrimonio, inteso in senso globale.
Proviamo dunque a dare una occhiata al bagaglio culturale professionale che gli archivisti portano in dote a questa nuova alleanza in favore del patrimonio.
Si potrebbe cominciare dalla consapevolezza che il patrimonio archivistico, pur considerato sovente l'ultima ruota del carro della cultura nel panorama delle priorità politiche, è risorsa indispensabile per la tutela e la valorizzazione di tutti i beni culturali. È superfluo citare il caso di certe imbarazzanti lussuose pubblicazioni distribuite alla inaugurazione di talune annose opere di restauro architettonico, dove risulta tra le righe che la ricerca storica non è stata alla base della progettazione dell'intervento, ma solo appiccicata in coda come fiore all'occhiello per dare un tocco di scientificità all'operazione.
Vi è poi una caratteristica del tutto particolare che differenzia il bene archivistico da tutti gli altri ed è quella di essere fin dall'origine al tempo stesso un bene culturale (testimonianza di una attività umana) e il prodotto spontaneo di una attività gestionale e amministrativa, dunque utile per difendere diritti e interessi. Anche l'archivio che il letterato o l'artista produce e accumula nel corso delle sue attività ha per scopo di facilitargli il lavoro e aiutarlo a ricordarne le fasi di sviluppo.
Questa duplice natura presenta vantaggi e svantaggi. Il rischio più grave è quello che appena svanita l'utilità pratica immediata, i documenti siano dispersi o distrutti, senza tener conto del loro eventuale valore per il futuro. L'aspetto positivo è invece che per la formazione di un patrimonio di fonti storiche (e di testimonianze giuridicamente valide) non è necessario inventare metodi sostanzialmente diversi da quelli in uso nella fase iniziale di creazione e ordinamento dei documenti. Anzi, secondo la dottrina archivistica affinatasi dopo secoli di tentativi ed errori, ormai si concorda che occorre rispettare quanto più possibile i criteri di ordinamento originari, dato che il valore del patrimonio archivistico non è dato dalla semplice somma dei contenuti dei singoli documenti, ma anche dal significato del loro contesto, delle loro relazioni reciproche come traccia affidabile delle funzioni svolte dai soggetti produttori. Il rispetto o la ricostruzione di questo ordine ha proprio lo scopo di consentire ai ricercatori, legittimamente animati dai più diversi interessi, l'approccio più oggettivo possibile alle fonti. Tale orientamento dell'archivistica italiana va sotto il nome di "metodo storico", nell'ambito del più generale principio del "rispetto dei fondi" o "principio di provenienza", che vieta di mescolare documenti di soggetti produttori diversi (la lettera che Tizio scrive a Caio, ha come appartenenza e "provenienza" archivistica l'archivio di Caio e non quello dell'autore intellettuale e materiale del documento, dati questi ultimi che devono comunque risultare dalla descrizione). Sono noti gli inconvenienti che derivano dall'utilizzare sistemi descrittivi di origine bibliografica nel tentativo di dare conto della complessità del patrimonio archivistico.
Ogni generazione (e ogni ricercatore) deve poter rivolgere nuove domande agli stessi archivi, purché non siano stati arbitrariamente manipolati in funzione di un solo transitorio interesse, perdendo così i nessi originari. Si tratta di un criterio che non trova esatta corrispondenza tra le metodologie in uso in altri settori del patrimonio culturale.
Un punto altrettanto delicato è quello della selezione, che risulta necessario effettuare nella fase di passaggio dall'archivio corrente a quello di deposito (la fase di utilizzo solo occasionale) e soprattutto a quello dell'archivio storico, dove il complesso dei documenti prodotti da un determinato soggetto in una certa fase della sua attività assume un consolidamento tendenzialmente definitivo, per finalità sia giuridiche sia culturali.
L'esperienza dimostra che il tentativo di conservare tutto si risolve, anche negli archivi digitali, in grandi difficoltà di gestione e di accesso, per non parlare dei costi insostenibili. Poiché la selezione è stata effettuata in passato con criteri qualitativi talora molto soggettivi (con distruzioni troppo radicali o viceversa con il salvataggio di quantità non sostenibili e di contenuto scarsamente utile), gli archivisti in tempi recenti si sono orientati non a inseguire i criteri continuamente mutevoli di interesse contenutistico, ma a cercare di salvare la testimonianza sintetica dell'attività specifica del soggetto produttore, talora mediante campionamento.
Il problema della individuazione del patrimonio da conservare e valorizzare traendolo dalla sterminata massa di testimonianze di ogni natura prodotte nelle epoche passate è, d'altra parte, un tema ben presente ai professionisti di ogni settore del patrimonio culturale.
La normativa italiana prevede che tale individuazione sia, per gli archivi, parte di una più generale funzione di tutela affidata agli archivisti di Stato sia di Soprintendenza (su tutti gli archivi pubblici non statali e su quelli privati di interesse storico) sia d'Archivio di Stato (sugli archivi degli uffici statali). Ma in realtà la funzione di tutela è rilevante anche per gli archivisti di enti pubblici e per quelli che lavorano per soggetti privati conservatori d'archivi pur non "dichiarati" formalmente di interesse storico, in quanto la prima fondamentale tutela del bene archivistico è quella esercitata quotidianamente dal detentore. Senza contare la tutela sociale diffusa che può essere esercitata spontaneamente dai cittadini, singoli oppure organizzati nei soggetti della società civile, benché sia più facile accorgersi di un edificio in rovina che di un archivio a rischio di dispersione.
L'esercizio della tutela in senso tecnico richiede competenze adeguate per l'attività conoscitiva che prelude alla individuazione dei beni oggetto di tutela, e per la loro protezione e conservazione per fini di pubblica fruizione. La collaborazione dei volontari, preziosa sotto molti aspetti, richiede tuttavia una attenta verifica delle modalità di esercizio, non per motivi di difesa corporativa delle professioni, ma per la salvaguardia del patrimonio dai guasti che possono essere provocati dalla incompetenza, per quanto generosa e disinteressata.
Data la natura estremamente eterogenea degli archivi (e dato che solo convenzionalmente si possono stabilire dei confini nel continuum tra archivi correnti, di deposito e storici), le competenze necessarie alla tutela spaziano da scienze come la paleografia e la diplomatica, alla storia delle istituzioni produttrici, alla storia del diritto, alla storia degli archivi, alla storia locale e generale, alla tecniche di conservazione e restauro, fino alla conoscenza - per i documenti più recenti - delle tecniche di produzione documentaria entrate in uso negli ultimi decenni, con l'apparente smaterializzazione degli archivi. La conservazione del contesto organizzativo e funzionale è particolarmente cruciale per gli archivi digitali.
Gli archivisti sembrano essere gli unici professionisti del patrimonio culturale che possono dover produrre il bene stesso oggetto della tutela, infatti, salvo deleghe, una stessa persona è responsabile nella Pubblica Amministrazione del Servizio d'archivio istituito ex art. 61 DPR 445/2000 che deve coprire tutte le fasi di vita dell'archivio, dall'ufficio protocollo fino alla sezione storica. In tal modo si conferisce struttura, logica e fisica, all'archivio e gli si consente di svolgere sia la funzione di strumento immediato di operatività e di garanzia giuridica, sia quella di duratura testimonianza, anche a scopo culturale, delle attività svolte.
 Acquisire agli istituti di conservazione il patrimonio archivistico selezionato per la conservazione illimitata richiede competenze di varia natura, sopratutto organizzativa, manageriali e psicologiche, non esclusa la capacità di  reperire risorse economiche.
L'acquisizione pone talora all'archivista problemi di natura deontologica, come quando al proprio istituto venga offerta l'occasione di ricevere un archivio che logicamente dovrebbe stare altrove. In tali casi è d'obbligo concordare soluzioni ragionevoli con gli istituti "concorrenti". Qualora sia irrimediabile la collocazione incongrua di un frammento d'archivio, essa può avere un parziale rimedio nella descrizione integrata sul web di tutti gli spezzoni. Certo non deve spaventare l'archivista l'eventualità che un fondo misto di documenti, di libri o di oggetti, che riflettono l'attività di un soggetto, sia destinato, in base ai beni prevalenti in quel complesso, ad un istituto culturale non archivistico purché i vari beni siano trattati secondo i criteri metodologici richiesti dalla natura particolare di ciascuno.
L'archivio originariamente ordinato o successivamente correttamente riordinato deve essere descritto mediante uno strumento scientifico che si aggiunge agli strumenti originari di corredo (protocolli, rubriche, elenchi, ecc.). Gli archivisti lo indicano col termine "inventario" e non con quello generico di catalogo. Esso ha la duplice natura di garanzia patrimoniale - perché serve a rivendicare i beni documentari eventualmente sottratti - e di mezzo di fruizione giuridico-amministrativa e culturale.
La descrizione dell'archivio non è mera sequenza di schede singole, ma organizzazione logica di tutti i dati emersi dalla fase di schedatura, che è fattibile a diversi gradi di analiticità. Ma la descrizione della struttura del fondo archivistico, data in ordine gerarchico dalle partizioni più generali di serie e sottoserie fino a quelle più particolari, è considerata chiave di accesso più utile che non l'accumulo di singoli dati descrittivi senza che sia poi stato fatto lo sforzo della ricostruzione sistematica, che evidenzia nessi originari e funzioni svolte.
Gli standard internazionali e nazionali di descrizione archivistica prevedono che i diversi soggetti produttori, che hanno contribuito ad alimentare uno o più fondi archivistici, siano separatamente descritti in modo da poter stabilire nessi virtuali tra produttori e parti di fondi archivistici, e così poter riflettere la complessità storica delle relazioni uno a uno, uno a molti, molti a uno e molti a molti. Per lo stesso motivo si richiede la descrizione separata dei soggetti conservatori, poiché non di rado gli archivi hanno subito smembramenti e accorpamenti in sedi fisicamente diverse. Tali descrizioni separate consentono di facilitare l'interconnessione con descrizioni di beni di natura non archivistica. Infatti una stessa persona può aver svolto attività che hanno prodotto oggetti di tipo diverso alcuni dei quali possono essere conservati nello stesso istituto culturale, altri richiedono invece di essere collocati in luoghi più adatti alla loro corretta conservazione e fruizione (si pensi ai quadri di un pittore).
Riordinamento e descrizione degli archivi costituiscono un impegno scientificamente rilevante, che impone agli archivisti di mettere a disposizione dei ricercatori anche le loro conoscenze di storia delle istituzioni produttrici e conservatrici e di storia degli archivi come strumenti operativi e di accumulo della memoria.
Tradizionalmente la comunicazione ai possibili utenti avveniva tramite la mediazione personale dell'archivista. L'ampliamento e la democratizzazione dell'accesso agli archivi pubblici, e a quelli privati dichiarati di interesse storico, ha fatto sì che gli archivisti si dedicassero alla redazione di strumenti descrittivi di immediata accessibilità, sempre meno dipendenti dalla necessità della propria partecipazione personale. Il sito web del singolo istituto e i sistemi descrittivi nazionali e internazionali (il portale SAN per gli archivi italiani) sono la nuova frontiera della comunicazione degli archivi a un pubblico variegato e potenzialmente vastissimo. La comunicazione on-line consente di effettuare ricerche non solo sequenziali come nei tradizionali inventari, ma anche puntuali e trasversali su più basi di dati. Le modalità puntuali di ricerca ormai diffusesi per quanto attiene alle descrizioni su supporti informatici costringeranno probabilmente a riconsiderare il tradizionale criterio inventariale della non ripetizione dei dati già forniti ai livelli descrittivi superiori. Nuove modalità di presentazione delle informazioni cominciano a essere sviluppate anche per avvicinare agli archivi utenti tradizionalmente scoraggiati dalla complessità del mondo archivistico. Sembra purtroppo più facile trovare soldi per campagne di digitalizzazione benché sia chiaramente insostenibile riprodurre la totalità dei documenti conservati. Certo le immagini non debbono essere gettate in pasto al pubblico senza il preliminare lavoro scientifico di riordinamento e conoscenza inventariale e senza essere collegate a descrizioni adeguate (metadatazione).
La valorizzazione degli archivi si attua con mezzi analoghi a quelli degli altri beni. Ma gli archivi soffrono di una particolare difficoltà nel conquistare l'attenzione del grande pubblico, benché le iniziative didattiche possano coinvolgere gli studenti con l'idea del viaggio virtuale nel tempo. In tema di mostre, la chiave per far scoccare la scintilla del contatto sembra essere l'individuazione di temi che abbiano una qualche eco nell'esperienza del visitatore, dato che il passato si può esplorare per somiglianze e per differenze con la realtà odierna. L'archivio inteso come macchina della memoria può facilmente aprirsi alla conoscenza degli altri tipi di beni conservati nello stesso edificio o in altri istituti culturali, o nel territorio circostante. Anche narrare le avventure più o meno felici della tutela del patrimonio può avvicinare il cittadino all'appassionante opera di studio e salvaguardia di un tesoro culturale sconfinato e diffuso come quello italiano.

Speciale lessico condiviso: il concetto di patrimonio - pag. 13 [2017 - N.58]

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