Apertura è la parola chiave per i nostri musei

Claudio Leombroni

Questo numero di Museo in-forma esce a metà estate, ma ciononostante a ridosso o in concomitanza di due eventi significativi.
Anzitutto esce all'indomani della 24a Conferenza generale di ICOM, che ha avuto grandi numeri e che ha ospitato un ricco e produttivo dibattito sul tema dei paesaggi culturali. Un tema pregnante, come argomenta molto bene Daniele Jalla in questo numero, che per i musei comporta una triplice apertura. In primo luogo alla comunità e ciò significa uscire fuori di sé e sperimentare punti di vista esterni, magari inusitati, certamente non autoreferenziali. In secondo luogo al presente, ossia alla sua percezione, e quindi alla contemporaneità, o, in un certo senso, alla convergenza agostiniana delle dimensioni del passato e del futuro sulla dimensione del presente. Infine l'apertura al patrimonio e il contestuale scolorimento della distinzione fra beni mobili e immobili: la forma di apertura più semplice e al tempo stesso più complessa, soprattutto se analizzata in prospettiva MAB, dove ancora resta da chiarire il lessico e il vocabolario comune delle professioni, a cominciare dalla nozione stessa di patrimonio e di quella collegata di bene culturale.
L'esperienza di MuseoMix - documentata nello 'speciale' di questo numero - va letta anche nel segno dell'apertura; soprattutto può essere valutata da questo punto di vista analizzandone la capacità di rispondere al presente e alla sua incombenza sui nostri istituti.
È anche il momento del concorso MiBACT per 500 posti di funzionario tecnico-scientifico, con varie figure professionali (5 posti per antropologo, 90 per archeologo, 130 per architetto, 95 per archivista, 25 per bibliotecario, 5 per demoantropologo, 30 per promozione e comunicazione, 80 per restauratore, 40 per storico dell'arte). Si tratta di un concorso importante, esito di una riforma discutibile, ma meritevole di discussione, di una riforma di ampia portata, molto incisiva sul versante dei musei, assai meno, anche in termini di visione, sul versante degli archivi e delle biblioteche. Il concorso, nella sua attribuzione di posti fra i vari comparti del Ministero, ha provocato le dimissioni dei rappresentanti dell'area biblioteche in seno al Consiglio superiore per i Beni culturali e paesaggistici, a testimonianza di quanto sia insensato bandire prove selettive per un numero di posti non significativo a distanza di circa trenta anni dal precedente, e a testimonianza di quanto la riforma non abbia ancora riguardato in profondità un settore - quello delle biblioteche statali - che per numero continua ad essere abnorme in confronto agli altri Paesi. Le prove selettive con quiz, in sé ampiamente discutibili, hanno già suscitato polemiche (si veda in proposito l'articolo di Tomaso Montanari su La Repubblica del 18 luglio scorso). Tali prove, come ha scritto Giuliano Volpe, non costituiscono il modo migliore di guardare al futuro, perché sarebbe stata necessaria una maggiore attenzione alla qualità di questa prova, anche per garantire il buon risultato delle successive prove di valutazione delle competenze tecnico-scientifiche dei candidati. Non è il modo migliore anche con riguardo a quella prospettiva olistica del patrimonio culturale che Volpe con buone ragioni propugna.
A questo proposito non possiamo non ribadire la necessità di discutere e di riflettere sulla nozione di 'patrimonio', sia dal punto di vista dei diversi istituti culturali, magari con l'obiettivo di definire una sorta di ontological commitment, sia dal punto di vista della suo significato sociale o se si vuole del suo significato nella dimensione del presente, perché il termine è stato oggetto di un'autentica "inflazione" come documenta un bel libro di Nathalie Einich apparso in Francia qualche anno fa (La fabrique du patrimoine, Paris, Éditions de la Maison des science de l'homme, 2009, purtroppo non posseduto, stando al catalogo, da nessuna biblioteca SBN). Quell'inflazione è poi diventata una "esplosione", descritta da Pierre Nora nei termini di un passaggio "d'un patrimoine étatique et national à un patrimoine de type social et communautaire", dove si decifra la nostra identità di gruppo o individuale, e di un passaggio "d'un patrimoine hérité à un patrimoine revendiqué".
E proprio la dialettica fra "patrimonio ereditato" e "patrimonio rivendicato" è forse la cifra del presente o dei suoi tre tempi: il passato del presente, il presente del presente, il futuro del presente.


Editoriale - pag. 3 [2016 - N.56]

[indietro]