Dannati o superuomini?

La Divina Commedia al MAR di ravenna fra incubi, angosce ed estasi secondo Doré, Scaramuzza e Nattini

Stefano Roffi - Curatore della mostra

Nell'anno delle celebrazioni del 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri il Museo d'Arte della città di Ravenna partecipa alle manifestazioni in onore del Sommo Poeta con una importante mostra realizzata in collaborazione con la Fondazione Magnani Rocca di Parma.
La Divina Commedia è stata ed è un'illuminazione culturale in grado di agire profondamente sull'immaginario collettivo. Nel corso dei secoli non ha mai smesso di esercitare una profonda influenza sugli artisti, soggiogati dal fascino e dalla forza delle immagini scaturite dal poema dantesco. La sua potente iconicità ha dato vita a visioni di ogni genere, soprattutto nel corso dell'Ottocento e del Novecento. Sotto questo punto di vista, le serie illustrative di Francesco Scaramuzza e Amos Nattini possono essere considerate le più importanti realizzazioni di questo tipo in Italia, per compiutezza ed estensione del progetto. Tramite il confronto con le celebri incisioni del francese Gustave Doré, la mostra costruisce un percorso che offre al visitatore confronti insoliti, diacronici e ricchi di spunti.
La mostra "Divina Commedia. Le visioni di Doré, Scaramuzza, Nattini", proposta in allestimento integrale con circa 500 opere fino al 10 gennaio 2016, presenta quindi incubi, angosce, estasi di tre fra i più grandi illustratori danteschi in un percorso di notevole suggestione che conduce il visitatore dalle tenebre infernali alla luce paradisiaca.
Secondo la visione pittorica di Nattini la pena dell'Inferno in realtà non è eterna, può trasformarsi in avventura eroica, con possibilità di riscatto. Siamo nei primi decenni del Novecento, tra superomismo, forza, anatomismo insistito, scorci e tagli deliranti e sorprendenti, a tratti cinematografici. Una rivisitazione di Dante in toni completamente diversi da quelli ottocenteschi di Doré e di Scaramuzza che mostrano una visionarietà emozionante ma germogliata nel solco della tradizione.
Nattini (Genova 1892 - Parma 1985) a partire dal 1919 realizza una maestosa serie di cento tavole che costituiscono l'illustrazione d'una speciale edizione della Divina Commedia e vengono esposte a Parigi, Nizza e L'Aja, riscuotendo ovunque un notevole successo. Nelle prime tavole dell'Inferno, Nattini riflette sul compiuto dramma della prima guerra mondiale facendone metafora nella pena d'oltretomba che pare destinata all'umanità nella sua globalità, senza soluzione e senza rispetto per l'individualità; i corpi dei dannati sono ammassati, privi di riconoscibilità, un magma di disperati. Nel procedere della rappresentazione nattiniana - ormai nel pieno degli anni Venti e dell'euforia ideologica diffusa - i dannati acquistano identità in volti e membra novecenteschi, spesso di gran muscolarità, e resistono eroicamente alle vessazioni di demoni ingegnosi, giungendo perfino a farsi beffa della pena che viene loro inflitta (i terribili ghiacci del Cocito infernale si trasformano in una sauna per borghesi grassocci e signore ben pettinate).
Per Nattini l'illustrazione di Dante è un'impresa colossale cui dedica buona parte della propria esistenza; l'esito è un racconto epico che ha il riferimento culturale in Nietzsche e in D'Annunzio, quest'ultimo sodale dell'artista. La tecnica è altissima, virtuosistica, e i colori scelti con una cura cui certo non sono estranei gli interessi alchemici del pittore. I dannati risultano quindi esseri destinati al riscatto, quasi immuni dai pur terribili supplizi; alcuni hanno volti fisiognomicamente definiti come ritratti, a riprova di come nel Novecento la Commedia venga sempre più attualizzata, personalizzata e rivissuta. La concezione vitalistica dell'opera di Nattini viene enfatizzata nelle tavole del Purgatorio, in cui il sapiente uso delle luci e della tavolozza crea atmosfere tra il simbolismo e il fantasy, con l'esaltazione insistita di corpi mirabilmente ariani come quelli che in anni vicini la regista tedesca Leni Riefenstahl celebrava nel suo Olympia. Nel Paradiso, in un tripudio di luce dorata, si stagliano santi e beati vistosamente debitori dalla pittura rinascimentale da Signorelli a Michelangelo; un Paradiso, quello di Nattini, che, visto nella sua complessità, risulta fortemente improntato ai modi dell'Aeropittura, forse la branca più significativa del secondo Futurismo, dominante negli anni Trenta in Italia. Dante è presentato come un eroe aerospaziale lanciato verso la conoscenza ultraterrena attraverso cieli abitati da creature semi-divine, fino a essere ammesso, al culmine dell'ebbrezza siderale, alla contemplazione della Trinità.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2015 - N.54]

[indietro]