Una testa che guarda

"Selvatico. Tre" è un originale percorso sul tema del volto che fino a febbraio 2015 collega musei e spazi espositivi della Bassa Romagna

Massimiliano Fabbri - Curatore del progetto Selvatico

Le molte mostre attraverso cui si estende e articola il progetto, tutte ricondotte al volto, sono abbracciate dal titolo Una testa che guarda. Il volto è l'immagine che guida e governa una mappa che congiunge luoghi, storie, memorie e collezioni che caratterizzano e distinguono i nove paesi che insieme hanno contribuito al formarsi di questo episodio di Selvatico, geografia dell'arte che colloca il suo punto di osservazione in provincia, occupando uno spazio ai margini e facendo di questa sorta di isolamento il suo centro e forza propulsiva. Selvatico gioca a scoprire e svelare affinità e incastri tra mondi. E si nutre del contrasto per vedere meglio; per questo si sviluppa in percorsi plurali che si allargano e intrecciano, in continua oscillazione e alternanza, punti di vista differenti e molteplici.
Una testa che guarda, immagine doppia che rende esplicita la relazione che si instaura nell'atto del vedere e, contemporaneamente, dell'essere visti, è la terza tappa di questo progetto, che presenta molte novità rispetto alle edizioni passate, su tutte l'arco temporale che da novembre si estende sino a febbraio 2015, in un susseguirsi di mostre e appuntamenti che, pur se differenti per temperatura e tipologia di narrazione, si iscrivono tutte dentro al comune paesaggio costituito da questo composito volto plurale; una mostra di facce e volti e teste molte, una foresta di sguardi in cui perdersi e riconoscersi.
La vocazione al contemporaneo e alla costruzione di mondi di Selvatico, si rivela attraverso una mostra, Il buco dentro agli occhi o il punto dietro la testa, divisa in tre sezioni e musei, che coinvolge ventotto autori che indagano su cosa significhi oggi guardare ancora al volto e restituirlo attraverso la pratica della pittura e disegno. Mettendo una testa al centro della ricerca, e dandogli spazio. Del volto come paesaggio e scenario: da qui si parte per inseguire differenti modi di vedere che si misurano tutti con il tema per eccellenza, una testa, suo tradimento compreso.
Un volto impigliato sulla superficie come condensazione e residuo, scrittura del tempo che si deposita sulla pelle, rintracciabile nella conformazione ossea e forma esatta dell'occhio, nella linea delle labbra o nei sentieri circolari dell'orecchio. Volto affrontato come campo di battaglia, panorama mai del tutto raccontato pienamente, luogo familiare e sconosciuto; o ancora perimetro del già detto, anonimo e invadente fantasma che si ripresenta con ripetizioni e varianti, presenza ossessiva e tenace da assediare e forzare per tornare a vedere ancora. Immagine quasi inafferrabile, in bilico tra la percezione di trovarsi di fronte a una nuvola vaga e illimitata, e uno sguardo perduto nel dettaglio, incapace di ricomporre una visione d'insieme. Il volto è il luogo del contrasto, bellezza spesso violata, mistero vergine e genere al tempo stesso; simmetria perfetta e deformazione. Imparentato alla divinità, così potente e accusante per la sua capacità di guardare e vederci a sua volta. Maschera e strumento. Accademia e furia iconoclasta.
Il titolo che contiene e attraversa le tre sezioni della mostra, sembra aprire, da un lato a questa capacità attrattiva e catturante del volto, dall'altro quasi a voler spostare il centro dell'attenzione fuori da questo profilo e scatola, a favore di un punto imprecisato, esterno; potenziale condizione d'invisibilità, come se il guardare portasse con sé l'oblio e una sorta di accecamento temporaneo. Profondità interne che inghiottono come gorghi, sotto gli strati della pelle, giù, dentro la notte interna, attraverso l'imbuto dell'occhio, occhio soglia, membrana che apre e chiude al mondo. E qualcosa che sfugge e sembra non potersi iscrivere nella faccia, e si colloca dietro, fuori, di là, come se il volto solo non bastasse, oppure fosse troppo, troppo violento da sopportare e sostenere con lo sguardo, e occhio che scarta e si volge altrove.
Questa mostra riparte dallo sguardo che prova a riscrivere o ritrovare sul volto, tracce di questa babele di significati ed echi, con l'ingenua speranza, forse, di abbandonarli e dimenticarli a favore di una visione più forte e nuova, di esattezza primitiva. Un grande specchio infranto che ci restituisce più modi di vedere e riflessi di questo volto labirintico; ripartendo da alcuni nomi già visti nei precedenti episodi, richiamandoli in causa e innestando, su questa lista, una serie di artisti che per la prima volta espongono nei nostri musei, tutti a misurarsi con il problema del volto e della sua rappresentazione, bellezza capace di portarci via, ancora.
Cacciatori di teste è una chiamata che si concretizza in un fitto ed esteso museo temporaneo composto da una moltitudine di ritratti e teste provenienti da raccolte private; a partire da alcune tra le più interessanti collezioni presenti sul territorio, una quadreria capace di condensare il meglio del volto dipinto, ricercato, inseguito e raccolto dal collezionismo locale, da Luigi Varoli ai giorni nostri. Un vero e proprio mosaico di sguardi, uno specchio che non si limita a riflettere un punto di vista univoco o a rilanciare esclusivamente la narrazione sui più importanti autori romagnoli della prima parte del secolo scorso, ma che tiene conto di un arco cronologico più ampio, per rendere giustizia ai diversi sguardi e percorsi dei collezionisti coinvolti; raccontando curiosità, innamoramenti, ossessioni e traiettorie di chi ha effettivamente costruito negli anni queste preziose raccolte. Come un articolato museo immaginario che si apre e svela, schiudendo sorprese e visioni, museo arbitrario e imperfetto, effimero e incompiuto, non rispondente tanto a criteri scientifici ma piuttosto governato da suggestioni, sensibilità e affinità elettive. Eppure crediamo che questa mostra sia capace di integrare ed estendere la ricerca e lo studio sui luoghi, memorie e presenze, portata avanti dai nostri musei e istituzioni, creando una mappatura di ciò che è stato e continua a essere, e cresce, si accumula e stratifica.
Lo scudo di Perseo è un progetto che guarda al ritratto come pratica ancora potente per un discorso ininterrotto sulla condizione umana, non poteva non confrontarsi con quello che avviene nella ricerca fotografica. Ripartendo da quella che fu la prima mostra di Selvatico, nel 2006, è stato chiesto ai fotografi Daniele Casadio e Michele Buda di riprendere e ripensare quell'esperienza, non solo esponendo produzioni realizzate a partire dal tema della testa che guarda, ma di estendere e allargare l'invito chiamando altri autori che si collegano al discorso su sguardo e volto, tra cui Alex Majoli e il collettivo piacentino Cesura; tredici fotografi a cui si affianca una sezione video che vede il ritorno di David Loom, Carloni-Franceschetti e Mauro Santini.
Parallelamente a questo percorso sul contemporaneo, dove lo scudo che permette all'eroe di guardare il mostro e prendere la sua testa diventa, metaforicamente, il dispositivo e occhio-lente della macchina fotografica, si affianca una mostra sul volto di Pier Paolo Pasolini, sul suo stesso viso visto e rilanciato attraverso alcuni scatti catturati sul set o in momenti di vita privata, e poi locandine di film, scritti, articoli e altri materiali d'archivio provenienti dalla Cineteca di Bologna, a comporre questo feroce e dolcissimo volto in forma di rosa, quello che lo stesso Pasolini ha spesso messo in scena, ora narcisisticamente, talvolta a farne maschera o campo di battaglia, ora, anche ironicamente, quasi icona pop resistente e desiderante.
All'interno di una sezione tutta dedicata al disegno bambino, la mostra Elzbieta e i suoi compagni, ritratti e autoritratti di bambini del mondo nelle opere della collezione PInAC, porta a Selvatico la Pinacoteca Internazionale dell'Età Evolutiva "Aldo Cibaldi" di Rezzato. La mostra è un album di sguardi provenienti dal tempo e dallo spazio: il tempo in cui sono stati realizzati, dagli anni Sessanta ai giorni nostri, lo spazio che è il mondo intero; infatti, se il linguaggio pittorico è matrice comune alle opere esposte, le lingue degli autori rimandano alla Francia e al Perù, al Giappone come all'Australia, al Kenia e alla Polonia, alla Russia, all'Italia come alla Spagna, alla Romania o agli Usa.
Selvatico è realizzato dal Museo Civico Luigi Varoli di Cotignola insieme ai Comuni e ai musei dell'Unione dei Comuni della Bassa Romagna, in collaborazione con l'associazione Primola - Arena delle balle di paglia.
Per informazioni e dettagli su programma e appuntamenti: www.museovaroli.blogspot.it.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2014 - N.51]

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