Il villagio emerso dalle acque
L'Ecomuseo di Villanova testimonia le vicende legate alla acque interne della Bassa Romagna, fra minaccia permanente e opportunità di lavoro
Giuseppe Masetti - Direttore Ecomuseo della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo
Quello di Villanova è un museo del "saper fare", uno dei rari luoghi dell'autenticità che raccoglie e conserva i manufatti realizzati tra Otto e Novecento, con la fatica della falce e la sapienza delle mani ad opera di tutta un'operosa comunità, impegnata in un'esclusiva lavorazione artigianale, laddove mancavano opifici e colture redditizie.La raccolta, la lavorazione e l'intreccio delle erbe palustri rappresentò per lungo tempo l'impegno primario di intere famiglie di questo abitato che si snoda per quasi quattro chilometri lungo l'argine sinistro del fiume Lamone, con un pettine di brevi traverse perpendicolari che un tempo furono dei veri e propri laboratori en plein air.
A determinare questa specificità, circoscritta ad un popoloso villaggio (che nel 1816 fu riconosciuto come comune dal papa Pio VII, e nel 1857 giunse a contare nella sola parrocchia oltre 2.400 anime) furono soprattutto le tormentate vicende idrauliche del fiume Lamone, il principale corso d'acqua della Romagna, che bagna l'antica Villanova come ultima borgata prima di perdersi nei pressi di Mezzano. Passava vicino a quella linea anche il confine fra i territori degli Estensi e quelli della Serenissima, motivo per cui molti clandestini abitavano il luogo e nessuno impiantava lavorazioni di qualche pregio. Solo le acque vi abbondavano, in forma sempre variabile, alimentando quella vegetazione palustre tipica delle zone umide dell'interno e delle riviere d'acqua dolce.
Le fonti cartografiche a supporto di tale paesaggio sono molteplici: una delle mappe più antiche della pianura ravennate conservata alla Classense e databile alla fine del XV secolo, mostra la biforcazione del Lamone poco oltre Piangipane; fra quella linea e Ravenna non v'è che la Valle Bartine, distesa fino al mare. Frequenti zone umide tutt'intorno si rilevano poi nei cromatismi di Ignazio Danti affrescati in Vaticano sul finire del Cinquecento, anche dopo le bonificazioni gregoriane concluse verso il 1570; nella carta di G.B. Aleotti del 1599, nei Mappari Estensi dei primi anni del Seicento e ancora nelle finissime carte di Luigi Manzieri a metà del Settecento.
La difficile comparazione ci dice che il nostro villaggio emerse gradualmente dalle acque, sopra ai dossi accumulati nel tempo e sulle contorte vie alzaie tracciate dalle anse del fiume che nel suo tratto finale ruppe ben 22 volte in sessant'anni solo nel XVIII secolo. L'esondazione decisiva però fu quella del 7 dicembre 1839, nota come la "rotta delle Ammonite", causata da una settimana di piogge ininterrotte e dal letto oramai pensile del fiume, che avrebbe sempre minacciato le campagne circostanti. Si decise allora, anziché ripristinare gli argini infranti, di lasciare che fosse il fiume a rialzare i terreni circostanti in cui aveva spagliato, realizzando un'ampia cassa di colmata di oltre 6.000 ettari, che furono contornati da argini rimasti sino alla fine del secolo e di indennizzare i proprietari consentendo loro la coltivazione del riso.
La lenta opera di bonifica che ne seguì rese produttivi i terreni un tempo malarici, produsse un incremento della popolazione doppio rispetto al capoluogo di Bagnacavallo, offrì nuovo lavoro tanto ai braccianti che a quanti estraevano e trasformavano l'erba di valle. Da allora si svilupparono saperi e raffinate lavorazioni artigianali di ceste, arelle, borse e cappelli che attingevano erbe palustri dal Ravennate e anche dalle Valli dell'Argentano, avviando un commercio che avrebbe invaso non solo il mercato di Lugo, ma raggiunto anche la riviera nord-adriatica e la stessa Francia.
L'Ecomuseo di Villanova fino ad ora ha conservato memoria di questo ambiente generativo di acque interne nelle serie di strumenti da lavoro custoditi e nelle storie di vita. A partire dall'anno prossimo, quando sarà pronta la nuova sede museale di via Ungaretti, anche altre fonti ed una più ampia sezione di cartografia storica daranno conto dello stretto rapporto di quei manufatti con le zone vallive che tanta parte hanno avuto nello sviluppo della cultura materiale per la nostra regione.
Speciale Musei e acque - pag. 13 [2012 - N.43]