Quando le nuvole erano più lievi
Un recente restauro ha permesso la riscoperta di brani musivi del VI secolo nella chiesa di S.Apollinare in Classe
Cetty Muscolino - Direttrice Museo Nazionale di Ravenna
Indubbiamente sotto il cielo di Bisanzio le nuvole erano più eteree e caratterizzate da cromatismi raffinati: basta osservare con attenzione le nuvole costruite in epoca immediatamente successiva. Queste brevi note ci faranno comprendere che è possibile scoprire qualcosa di nuovo, anche nelle opere d'arte a lungo tempo indagate, confermando che un restauro, condotto correttamente è foriero di acquisizioni e sorprese inaspettate.Così è accaduto nella fascia superiore dell'arco trionfale di Sant'Apollinare in Classe, che è stato oggetto di un'osservazione speciale, grazie al risanamento delle capriate lignee della chiesa, che versavano in condizioni drammatiche. Approfittando delle colossali impalcature installate per il restauro delle capriate fatiscenti, si è intervenuto su una superficie musiva non più toccata dagli anni Cinquanta.
E le scoperte non sono mancate. La fascia superiore dell'arco, con al centro il clipeo col Cristo benedicente, affiancato dai simboli degli Evangelisti, assegnata da tutti gli studiosi ad un unico momento successivo al VI secolo, è stata in buona parte ricondotta all'aureo periodo giustinianeo. I quattro maestosi simboli degli Evangelisti e le variopinte nuvole limitrofe, che insistono sull'azzurro cielo, sono stati riconosciuti come opera dei mosaicisti bizantini attivi nella chiesa di San Vitale. Ad un momento successivo, determinato probabilmente dalla necessità di riparare un crollo, si deve attribuire il clipeo centrale del Cristo e le nuvole circostanti.
Il confronto fra le diverse morfologie delle nubi, le differenti tecniche esecutive nonché il diverso utilizzo di materiali costituisce l'aspetto macroscopicamente più visibile. La decorazione della fascia musiva, già assegnata dal Ricci al VII secolo, successivamente ricondotta al IX dal Mazzotti e di nuovo riportata al VII secolo dalla Rizzardi, era stata concordemente ritenuta omogenea in tutte le sue parti.
Il recente intervento di restauro, diretto dalla scrivente e condotto da Ermanno Carbonara, con la collaborazione di Francesca Veronese e Giuliana Casadio, ha permesso di discriminare con certezza l'eterogeneità delle partiture musive: l'accurata osservazione delle tessiture non lascia dubbi sulla presenza di due interventi stilisticamente e cronologicamente differenti.
Molteplici elementi mostrano come da un'esecuzione accuratissima e concepita con grande maestria si passi ad una realizzazione sommaria e, in alcuni dettagli, addirittura sciatta: dal rigore formale e materico, sempre presente nella prima fase, che comporta la selezione dei materiali più pregiati e delle tonalità cromatiche più funzionali, si passa ad una povertà materica e ad una limitata gamma cromatica organizzate con grande semplificazione formale. Infatti i rapporti stratigrafici fra le malte evidenziano come la malta del rifacimento sovrasti inequivocabilmente quella del mosaico più antico.
Il brano musivo del Cristo è eseguito con relativa cura e maggior ricchezza dei materiali, ma caratterizzato dall'abbondante impiego di materiale calcareo, da andamenti scomposti, disegno semplificato, misura delle tessere ridotta e interstizi più visibili. Essendo verosimilmente l'unica porzione di mosaico esaminata con attenzione da quanti ci hanno preceduto e addotta come segnale del mutamento di epoca, ha finito per "trascinarsi dietro" anche tutte le altre raffigurazioni incluse nel medesimo registro.
Le nubi prossime agli Evangelisti, costruite con grande perizia e ricchezza cromatica, raggiungono effetti di eleganza e levità, mentre le altre, pertinenti al rifacimento successivo, congelate in profili rigidi e schematici, sono "farcite" internamente con una massa greve e opaca. Godiamoci quindi i "ritrovati" Evangelisti, figli naturali di Bisanzio, poderose figure cariche di energia e vitalità, impreziosite dai piumaggi delle grandi ali, costruite da delicati passaggi tonali di vetro porpora e tocchi di vetro azzurrino, proprio come gli arcangeli del catino absidale di San Vitale.
La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 7 [2008 - N.33]