Dal collezionismo privato al Museo

Le collezioni di due abbazie e di alcune famiglie nobiliari sono all'origine della nascita del Museo Nazionale di Ravenna.

Cetty Muscolino e Federica Cavani - Museo Nazionale di Ravenna

Il Museo Nazionale, costituito a partire dal XVIII secolo grazie all'erudita attività dei monaci camaldolesi di Classe, si è arricchito gradualmente tramite donazioni private, acquisizioni, materiali provenienti da chiese, conventi e palazzi cittadini e reperti rinvenuti nel territorio ravennate in occasione di scavi fortuiti o stratigrafici. Si configura pertanto come un vasto insieme di raccolte eterogenee, riconducibili sostanzialmente a tre gruppi fondamentali: il lapidario, i reperti da scavo e le collezioni di arte cosiddetta minore, dove predomina il lascito classense.

La storia del Museo Nazionale lega quindi le due grandi abbazie di Classe e di San Vitale, intrecciandosi alle trasformazioni dei luoghi e all'evoluzione dei criteri che hanno orientato nel tempo le scelte espositive e le metodologie di restauro. Dagli Annali del Fiandrini è noto che alle raccolte del Museo contribuirono in maniera consistente alcune nobili famiglie ravennati fra cui i Rasponi, i Grossi, i Bacinetti e i Vitelloni.

I Rasponi, suddivisi in vari rami di discendenza, possedevano palazzi e dimore signorili entro e fuori città, nei quali custodivano anche, come era tradizione delle nobili famiglie, prestigiose opere d'arte e raccolte di materiali marmorei. I materiali facenti parte della collezione dei conti Rasponi sono di provenienza diversa, alcuni da rinvenimento archeologico, dai poderi Rasponi nel ravennate, nella Toscana e nell'Umbria, altri di provenienza antiquaria o da acquisto non documentato, come nel caso della collezione glittica che vanta più di 200 pezzi estremamente eterogenei fra loro. Questa collezione figura in un vecchio inventario del Museo datato 1896, alla voce: "Gemme donate dalla Sig.ra Luisa Murat in Rasponi".

Alcuni reperti sono di particolare interesse e fra questi si segnala un frammento del XVI-XVII secolo che raffigura un gallo o un uccello simile, volto verso sinistra con ala abbassata e coda diritta, posto su un terreno reso con erba e sassi. Nella simbologia cinese il gallo, omofono di fortunato, veniva utilizzato negli antichi riti contro gli spiriti. L'intaglio, nell'insieme abbastanza curato, presenta alcuni punti schematici tanto da far pensare ad un prodotto orientale, probabilmente cinese, di XVII secolo, in stile naturalistico, destinato all'esportazione.
Potrebbe trattarsi di un frammento di coperchio cilindrico in ambra opaca utilizzato per chiudere una tabacchiera a flacone o Snuff Bottle. Destinate a contenere inizialmente medicinali e in seguito tabacco da fiuto polverizzato e aromatizzato con polvere di menta, canfora, gelsomino o di altre piante e fiori, le Snuff Bottles furono prodotte a partire dal XVII secolo. Spesso il tappo era intarsiato, intagliato, scolpito, inciso, laccato, smaltato o dipinto in materiale diverso da quello della bottiglietta; le forme potevano richiamare animali, uova, frutti, sassi o piccoli personaggi umani. A metà del XVII secolo se ne iniziarono a produrre di poco raffinate perché destinate ai cavalieri mancesi. Dal 1680 al 1780 le botteghe artigianali del Palazzo Imperiale Cinese produssero tabacchiere di alta qualità come articolo da regalo o di gratifica, mentre in periferia ne venivano prodotte in materiali estremamente eterogenei. Tra i vari materiali usati l'ambra è uno dei più leggeri e viene considerato dai cinesi come l'emblema della longevità. Destinate in parte al Vecchio Continente che cominciò ad apprezzare la produzione artistica cinese, in primis attraverso la porcellana, queste tabacchiere, di diversa grandezza, diventarono oggetti da collezione.

Alcuni manufatti lapidei, donati dai conti Rasponi nella seconda metà dell'800, sono oggi fra i reperti più prestigiosi del Museo Nazionale, quali per l'appunto il famoso rilievo con Ercole che cattura la cerva di Cerinea, anticamente esposto nel Palazzo Arcivescovile, e la nota stele del faber navalis Publio Longidieno, testimonianza della vivace attività del porto di Classe. La scultura di Ercole illustra la terza fatica dell'eroe, rappresentandolo in tutta la sua prestanza fisica, mentre cerca di sottomettere l'animale, afferrandolo per le corna. L'iconografia mitologica e lo stile denunciano la provenienza da un atelier costantinopolitano, testimoniando un intenso legame fra Ravenna e la capitale d'oriente.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 7 [2007 - N.29]

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