Virtual Gallery

Un prototipo di visita virtuale alla Pinacoteca di Ravenna

Nadia Ceroni - Conservatore Museo d'Arte della città di Ravenna

Non è la prima volta che la Pinacoteca del Museo d’Arte della città di Ravenna aderisce ad un progetto sperimentale, con l’intento di condividere gli obiettivi culturali e le novità tecnologiche, proposti da enti pubblici e privati, destinati a migliorare la conservazione e la valorizzazione del proprio patrimonio artistico.
Risale al 2001 la realizzazione del progetto denominato Virtual Gallery – un particolare software ideato da Daniele Panebarco per la visita tridimensionale ed interattiva di musei, pinacoteche e quadrerie attraverso Internet – per il quale la Pinacoteca di Ravenna mise a disposizione planimetrie dei propri spazi espositivi, fotocolor di numerose opere selezionate per l’occasione e relativi testi.
Si scelse in particolare di lavorare su opere d’arte non esposte al pubblico, con l’intento di costruire una visita virtuale al “museo nascosto”, vale a dire a quel patrimonio artistico che per ragioni di spazio non è abitualmente fruibile da parte dei visitatori perché collocato nei magazzini del museo o depositato presso uffici pubblici quali la Prefettura, la Questura, il Tribunale e la Residenza Municipale della Città. Nel prototipo che si realizzò – i cui costi erano a carico della Provincia di Ravenna e della Regione Emilia-Romagna – gli oggetti non erano più esposti fisicamente, ma divenivano immagini artificiali accessibili mediante il computer.
Le potenzialità del software si rivelarono ben presto duttili per altri usi e scopi: non solo la possibilità di dare visibilità sul web al patrimonio artistico permanentemente esposto nelle sale museali, ma anche a nuclei indisponibili, a loro volta aggregabili per argomenti che potevano costituire la base per ulteriori mostre virtuali permanenti o temporanee. Ci si rese conto anche della possibilità di poter realizzare iniziative da condividere con altri musei, simulando esposizioni in luoghi inesistenti nella realtà, ma proprio per questo intriganti e accattivanti nella loro artificialità.
Si ragionò sull’utilità – civile e più precisamente civica – di creare iniziative culturali virtuali in quanto occasioni vantaggiosissime per l’abbattimento di costi elevati, normalmente sostenuti con denaro pubblico e privato; sulla possibilità di costruire ulteriori relazioni con il proprio territorio, con altri musei e, soprattutto, con un bacino di utenza vastissimo. Si ragionò sulle potenzialità, per un museo virtuale fatto solo di immagini, di diventare più ludico e interattivo nei confronti dei propri fruitori; sulle modalità, per un istituzione museale, di fare cultura anche attraverso l’informatica e di porsi in un rapporto più dinamico di colloquio e di scambio con partners, visitatori e studiosi.
Fermo restando che le applicazioni informatiche suscitano sempre una grande curiosità nel pubblico – soprattutto quello giovanile – e che i musei in grado di offrire ai visitatori innovazioni tecnologiche all’avanguardia sono ancora complessivamente pochi, un grosso limite alla diffusione di queste tecnologie è chiaramente rappresentato dalle risorse, non solo economiche ma anche umane. Gli investimenti necessari, infatti, possono essere consistenti e occorre comunque prevedere una fase di formazione per il personale che dovrà utilizzare gli strumenti informatici messi a disposizione.
La versione finale del software di Panebarco – Exhibits3D – prevedeva infatti la possibilità di rendere dinamiche le esposizioni virtuali, mettendo in grado l’operatore museale di aggiornare e sostituire in prima persona i quadri della galleria preventivamente scansionati o fotografati con camera digitale. Gli standard museali e la definizione dei profili professionali potranno sopperire a tale mancanza, introducendo figure destinate a svolgere attività nuove, soprattutto nel campo della comunicazione e della “esibizione”.
Nelle intenzioni dell’autore, questo software – in grado di costruire musei virtuali, spazi espositivi on line e “visite immersive alle collezioni” – avrebbe potuto offrire alle istituzioni culturali un inedito modello concettuale la cui applicazione avrebbe contribuito a trasformarle da “custodi di contenuti in emittenti di contenuti a livello planetario”.

Speciale musei virtuali - pag. 10 [2006 - N.26]

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