Per un parco della Vena del Gesso

Luciano Bentino - Gruppo Speleologico Faentino

Di istituire il Parco della Vena del Gesso si discute ormai da quasi 30 anni, da quando cioè, nel 1972, fu redatta la prima proposta di tutela ad opera dell'Unione Regionale delle Bonifiche. Innumerevoli sono stati i dibattiti, le tavole rotonde, gli articoli, e non si può certo dire che l'opinione pubblica non sia informata sulla peculiarità di questa emergenza naturale. In ogni caso sono tuttora disponibili in libreria diversi lavori di divulgazione scientifica che esaminano tutti gli aspetti di questa singolare barriera che si sviluppa per circa 20 Km trasversalmente alle vallate comprese tra Lamone e Sillaro. L'esiguità dello spazio non promette di prendere in esame dettagliatamente tali caratteristiche: si ricorda comunque che la V.d.G. si è formata tra 6 e 5,5 milioni di anni fa con le modalità di una gigantesca salina: in seguito alla chiusura a più riprese dello Stretto di Gibilterra, per almeno 15 -16 volte il Mediterraneo disseccò depositando altrettante bancate di gesso (cicli evaporitici), separate fra loro da sottili intercalazioni argillose ove si trovano numerosi resti dei pesci che popolavano quelle antiche lagune. Questi depositi, in origine piatti, furono poi nuovamente sommersi dal mare e poi corrugati, spezzati e inclinati e infine fatti emergere dalle enormi spinte dovute agli spostamenti convergenti, tuttora in corso, dei continenti africano ed europeo. la roccia selenitica che costituisce la V.d.G. è velocemente carsificabile: le acque meteoriche non scorrono cioè in superficie, ma vengono inghiottite nel sottosuolo attraverso le fratture createsi durante l'emersione della catena appenninica. La superficie è stata modellata da campi scolcati, erosione a candele e doline, cavità perlopiù imbutiformi al fondo delle quali le acque meteoriche vengono drenate in inghiottitoi, punti idrovori attraverso i quali si accede al reticolo di grotte scavate dalle acque stesse, che hanno dissolto il gesso in corrispondenza delle linee rappresentate dal reticolo di fratture preesistenti. Alcune di queste grotte furono utilizzate da genti pre-protostoriche per scopi di culto, come luogo di sepoltura e talora come abitazione: ben note sono la Grotta del Re Tiberio, la Tanaccia di Brisighella e la Grotta dei Banditi, ma anche altre piccole cavità furono sporadicamente frequentate dall'uomo. Di grandissima importanza scientifica è la scoperta, avvenuta nel 1985 nella cava di gesso del Monticino presso Brisighella, di uno straordinario deposito di fossili di età messiniana finale (circa 5,5-5 milioni di anni fa) con specie faunistiche continentali scomparse da tempo dai nostri ambienti: antilopi, rinoceronti, cavalli, formichieri, scimmie, iene, oltre ad un numero elevatissimo di piccoli roditori ed insettivori, le cui ossa disarticolate erano state intrappolate. La primigenia Vena del Gesso era simile ad un '"pezzo d'Africa" caldo ed arido, fino a quando fu nuovamente sommersa dal mare in seguito all'apertura dell'attuale Stretto di Gibilterra. Anche la flora e la vegetazione Meriterebbero ampio spazio, ma ci si limiterà a ricordare la presenza ,della rara Cheilantes persica, piccola felce a distribuzione balcanica e mediorientale, relitto ,della calda era terziaria, le cui uniche stazioni italiane (e di tutto il Mediterraneo occidentale) si trovano a Monti Mauro. Malgrado tutte queste peculiarità il parco della V.d.G. continua ad essere un parco fantasma: la Regione ha istituito, almeno sulla carta, 12 riserve naturali e 13 parchi, ma non il nostro, la cui progettazione è stata delegata alla Provincia di Ravenna. Limitandoci alle vicende più recenti, naufragato il progetto redatto nel 1983 dall'arch. R.Rosini per l'opposizione di cavatori, cacciatori e soprattutto di residenti, l'incarico di redigere un nuovo progetto è stato affidato diversi anni or sono ad un ufficio della Provincia; tale progetto è stato sottoposto alle associazioni naturalistiche perché facessero le loro osservazioni ed illustrato in questi ultimi tempi pubblicamente nelle sedi delle Comunità interessate. Non si placa però l'ostilità dei residenti, da sempre disinformati e sobillati da forze politiche e lobbies di cacciatori che continuano a prospettare pesanti e rigorosi vincoli particolarmente nei confronti degli agricoltori, che invece non solo non verrebero minimamente penalizzati, ma beneficerebbero di consistenti vantaggi economici. Si fornisce così alla Provincia l'alibi di non poter imporre un parco contro la volontà dei Comuni interessati: e se Riolo recentemente si è dichiarato a favore, Casola tergiversa e Bris'ghella è sostanzialmente contraria. Dal versante dei protezionisti le critiche riguardano invece la "filosofia" del progetto, che vorrebbe salvare capra e cavoli finendo col non salvare nulla: si contesta infatti la zonizzazione cervellotica in base alla quale sarebbe salvaguardata solo la linea di cresta - e neanche tutta, vista la presenza a Borgo Rivola della Cava ex Anic, la più grande d'Europa per l'estrazione del gesso - dove la roccia selenitica emerge senza copertura di vegetazione; non sono previste aree di tutela integrale, nemmeno per la forra del Rio Basino né tanto meno per il bosco che ammanta le rupi di Castelnuovo;'e si potrebbe continuare. Fra i protezionisti c'è anche chi sarebbe disposto ad accettare un tale mini-parco, perché è meglio di niente le in futuro potrebbe essere ampliato. Ma un tale compromesso è inaccettabile: già in un recente passato, a Casola Valsenio, durante la manifestazione "Nebbia '95" il Gruppo Speleologico Faentino si è pronunciato provocatoriamente contro un parco siffatto: meglio infatti lasciare le cose come stanno, poichè in caso contrario verrebbero vanificate le norme di salvaguardia esistenti, come i DD.MM. emanati in attuazione della L.1497 del 1939 ed i vincoli del Piano Paesistico Regionale.

Speciale musei naturalistici della scienza e della tecnica - pag. 13 [1999 - N.4]

[indietro]