Un museo scientifico perduto

Luciana Martini - Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna

ll Museo Nazionale di Ravenna custodisce, oltre ai reperti provenienti da recuperi e scavi nella città,soprattutto ciò che resta delle raccolte settecentesche un tempo situate presso le due più grandi abbazie ravennati: quella dei padri camaldolesi di Classe e quella dei Benedettini di San Vitale. Veramente straordinaria fu l'attività di documentazione e ricerca esercitata con passione da questi ordini religiosi, presso i quali, con la collaborazione di qualche nobile dotto, si raccoglieva allora tutta la cultura locale. Le stesse collezioni che oggi noi contemporanei, passati attraverso la sensibilità del romanticismo e dell'idealismo, percepiamo come "artistiche", avevano in origine, nella cultura dei monaci, una valenza di documentazione scientifica molto più accentuata. Il che spiega la presenza, all'interno delle raccolte, di certi reperti di carattere semplicemente etnografico o naturalistico, che oggi ci sembrano estranei allo spirito dell'insieme, e che trattiamo come semplici curiosità. Particolare importanza, nel monastero dei Benedettini, ebbe una raccolta dedicata allo strumentario medico chirurgico dell'epoca, fondata nel 1746 e strutturata come una vera e propria istituzione museale. Nata sotto l'impulso di ragioni pratiche, insieme alla farmacia che dispensava medicamenti, la collezione subì l'influsso delle nuove idee settecentesche che andavano mutando la percezione della natura, e quindi dello stesso corpo umano, e di conseguenza rivalutavano anche la funzione della medicina, nell'ottimistica opinione della possibilità della scienza di eliminare il dolore dalla vita umana sull'onda delle nuove entusiasmanti scoperte tecniche. La trasformazione della raccolta in Museo, con vere e proprie finalità collezionistiche e acquisto anche di materiale didattico illustrativo fu dovuta al dotto padre Ippolito Rondinelli, che nel 1741 era vicario dell'infermeria del Monastero; nella realizzazione di questa impresa si associò con il chirurgo locale Gaetano Bianchi. L'importanza che ebbe fin dall'inizio la collezione è testimoniata anche dalla collocazione dei materiali all'interno del complesso benedettino: occupavano cinque ambienti lungo il lato occidentale del secondo chiostro, preceduti da una porta monumentale sormontata di stucchi. bbene fosse uno dei maggior vanti della comunità, a partire dal 1797, a seguito delle soppressioni napoleoniche, la raccolta seguì un triste destino di dispersione. In un primo momento, i materiali vennero consegnati dalla municipalità a medici ravennati, poi alla Deputazione dell'Ospedale locale. Nel 1814 un resto della collezione era ancora visibile in ambienti di quest'istituzione, anche se parte di essa era stata dirottata verso altri enti e prestata a privati; in seguito, nei vari trasferimenti di sede dell'ospedale, gli oggetti vennero del tutto dispersi. Nel 1862 si ha ancora traccia di qualche strumento, del quale venne effettuato il restauro. Il venire meno della funzione pratica del materiale (e forse il trionfo di una medicina ormai inconsapevole della propria storia) ne segnò la fine, perdendosi quella valenza di documentazione scientifica, che proprio fin dall'origine era stata il motore di formazione della collezione, travalicando la semplice necessità d'uso. Non sapremmo effettivamente più nulla di questa raccolta se fosse che il suo creatore, il padre Rondinelli, si era preoccupato di lasciarne una accurata testimonianza. Il volume illustrato Descrizione degl'istrumenti, delle macchine e delle suppellettili raccolte ad uso chirurgico e medico dal P. Don Ippolito Rondinelli ferrarese monaco cassinese in S.Vitale di Ravenna, un altro benedettino, il padre pubblicata a Faenza nel 1766 da bresciano Mauro Soldo, è tutto ciò che resta di questa antica e grandiosa istituzione.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 6 [1999 - N.4]

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