L'evoluzione storica della legislazione sui beni culturali

Un excursus fra le leggi che tutelano i beni culturali del nostro paese dalla costituzione del regno d'Italia ad oggi

Michele Giambarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

Vogliamo esaminare, sia pur brevemente, l'evoluzione che ha avuto la normativa sui beni culturali per mettere in evidenza i diversi principi che nel tempo hanno ispirato il legislatore. Nell'Italia preunitaria quasi tutti gli stati avevano emanato norme più o meno organiche sulla tutela delle antichità, delle opere d'arte e dei beni archeologici. In tale materia lo Stato della Chiesa può vantare la più antica tradizione di norme volte ad impedire la distruzione e la dispersione dei capolavori e delle testimonianze che si raccoglievano a Roma più che in ogni altro luogo, tanto che fin dal XVII secolo erano stati emanati vari editti che prevedevano controlli di polizia sulla conservazione e sul commercio di opere antichità ed opere d'arte. Nell'ampia normativa dello Stato Pontificio si segnala in particolare l'editto del Cardinale Pacca del 7-4-1820, sotto il pontificato di Pio VII, che viene generalmente riconosciuto come il primo ed organico provvedimento legislativo di protezione dei beni artistici e storici che ispirò provvedimenti analoghi nel regno di Napoli, in Toscana, nel Lombardo Veneto. In Piemonte, diversamente, mancano interventi legislativi importanti al di fuori della costituzione della Giunta di Antichità e Belle arti nel 1832 che aveva lo scopo di proporre provvedimenti per la conservazione degli oggetti di antichità e d'arte. Ovunque vi è quindi la presa di coscienza della esistenza di un patrimonio artistico e storico ma, ad eccezione dello Stato della Chiesa e del Regno di Napoli, che possedevano una normativa che disciplinava anche la conservazione, il restauro, gli scavi, nella legislazione preunitaria manca del tutto il concetto di ricchezza culturale della comunità e lo scopo dei provvedimenti esistenti è prevalentemente quello di evitare la fuoriuscita delle cose d'antichità e d'arte dai confini di ciascuno Stato. La neonata Italia si disinteressò quasi del tutto di beni culturali. L'ideologia dominante vedeva con sfavore ogni ingerenza pubblica in materia in quanto essa si sarebbe necessariamente tradotta nella imposizione di limitazioni alle iniziative individuali e private che collidevano con la concezione dominante della proprietà privata (l'art. 29 dello Statuto Albertino recitava: "tutte le proprietà, senza lacuna eccezione, sono inviolabili"). La sola eccezione è data dalla legge 2359/1865, che prevede la possibilità di espropriazione dei monumenti in rovina per incuria dei proprietari, poiché per il resto, con provvedimento del giugno del 1871, ci si limitò a mantenere in vigore la legislazione già esistente nei singoli Stati preunitari. La prima codifica del principio dell'interesse pubblico, dell'obbligo di conservazione e dei poteri strumentali della pubblica amministrazione relativamente a beni di interesse artistico, storico, archeologico si ebbe con la legge 185/1902 (Nasi) e 364/1909 (Rosaldi). Con dette leggi, sebbene ancora lacunose ed incomplete, venne affermata per la prima volta la natura pubblica dei beni artistici e la necessità di tutela da parte dello Stato. E' solo nel 1939, con le leggi 1089 e 1497, che si registra il primo ed importante tentativo di dare struttura normativa organica e sistematica alla normativa sul patrimonio culturale e paesaggistico italiano e si istituisce un unico Consiglio dell'educazione, della scienza e delle arti ed il riordino delle sovraintendenze. Con tali norme, ed altre connesse, ci si prefiggeva, oltre alla tutela, la valorizzazione dei beni e delle attività culturali, segnatamente sotto forma di sovvenzioni e credito agevolato. In tali norme i beni culturali vengono tuttavia considerati sostanzialmente come mero complesso di "cose" in quanto prevalgono disposizioni volte alla conservazione, alla tutela e alla imposizione di limiti alla circolazione rispetto alle disposizioni volte alla garanzia di fruizione e alla valorizzazione di detti beni. La concezione del bene culturale che traspare è quindi sostanzialmente elitaria, celebrativa e non priva di elementi retorici. Con la Costituzione Repubblicana l'azione dello Stato volta alla tutela e alla promozione della cultura assurge a principio fondamentale della Repubblica. L'art. 9 della Costituzione invero, non si limita a contemplare la "tutela" dei beni culturali, ma sancisce la "funzione culturale" dello Stato e la tutela degli "interessi" inerenti ai beni culturali. Ciò avrebbe imposto una revisione profonda dell'impianto normativo del 1939, ma nonostante la vivacità del dibattito parlamentare e i tentativi delle commissioni parlamentari appositamente istituite, il parlamento rimase di fatto inerte. Tali lavori infatti non giunsero alla promulgazione di norme che superassero la preoccupazione del legislatore di provvedere alla conservazione dei beni di interesse storico artistico e archeologico e di controllarne gli atti dispositivi e non vennero quindi raccolte se non per l'introduzione del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali e per mere innovazioni terminologiche. Invero, l'espressione "bene culturale" è entrata nel nostro ordinamento solo in tempi relativamente recenti a seguito della ratifica delle convenzioni internazionali del secondo dopoguerra (la prima apparizione dell'espressione si ha infatti nella convenzione dell'Aja del 1954). Restano tuttavia le conclusioni cui pervennero le predette commissioni (in particolare la Commissione Franceschini istituita nel 1964) che diedero un contributo nella definizione della nozione di bene culturale quale bene immateriale di afferenza pubblica in quanto destinato alla fruizione collettiva - indipendentemente dalla proprietà pubblica o privata - quale testimonianza materiale avente valore di civiltà. Nella legislazione più recente è però ravvisabile il passaggio da una normativa sostanzialmente vincolistica (quale quella del 1939) alla configurazione di un ruolo dinamico della politica dei beni culturali che si pone lo scopo di assicurare la più ampia fruibilità del valore culturale di cui è testimonianza. Il legislatore interviene così accollando allo Stato le spese di restauro qualora il proprietario del bene non sia in condizione di sostenerle (l. 1552/1961), viene introdotto il termine "valorizzazione" (utilizzato per la prima volta nel d.p.r. 805 del 1970) mentre in precedenza si faceva riferimento solo alla "tutela", vengono previste agevolazioni fiscali (l. 512/1982) ed erogazioni liberali in danaro per la promozione di manifestazioni culturali, vengono previsti interventi per migliorare le condizioni di sicurezza dei musei e degli istituti culturali, si regola il regolare accesso ai musei e si tenta di porre rimedio alle disfunzioni organizzative, si consente ai privati la diretta partecipazione alla gestione di servizi collaterali a pagamento in musei, gallerie, biblioteche (l. 4/1993). Da più parti, inoltre, si è messo in evidenza che i beni culturali, fermo restando la prioritaria funzione sociale, possono svolgere un ruolo significativo anche sotto il profilo economico considerandoli non solo quale "costo" per la collettività, ma anche con funzione di stimolo agli investimenti pubblici e privati, fonte di occupazione e sviluppo. Recentissimamente il legislatore è intervenuto con un nuovo importante provvedimento introducendo il Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali (decreto legislativo 29-10-1999 n. 240). Tra le novità introdotte vi è l'inserimento, nei procedimenti di costituzione del vincolo, dei meccanismi di garanzia e delle procedure previsti dalla l. 241/90; viene inoltre riconosciuto un più ampio ruolo gestionale alle autonomie locali e viene ampliato l'ambito della tutela essendo comprese nella previsione le fotografie, gli spartiti musicali, le opere cinematografiche e audiovisive e altri bene che seppur non elencati costituiscano "testimonianza avente valore di civiltà". Il sistema previsto da un lato continua a basarsi sui contenuti della l. 1089 del 1939, che risulta sostanzialmente confermata, ma costituisce probabilmente la più consistente operazione di semplificazione e razionalizzazione di tutta la normativa esistente in materia di beni culturali.

L'opinione del legale - pag. 16 [2000 - N.8]

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