Materiale o immateriale?

La nozione di 'patrimonio culturale' tra normativa e uso comune

Daniele Jalla - Già Presidente ICOM Italia

L'espressione patrimonio culturale (dal latino patrimonium: insieme di cose appartenenti al padre, da pater con il suffisso -monium) entra in uso nell'accezione corrente nel corso della prima metà del XX secolo, sostituendo altre designazioni: 'antichità', 'antichità e belle arti', e in particolare 'monumenti', termine applicato anche ai beni mobili e utilizzato, ad esempio, da Alois Riegl nel suo Culto moderno dei monumenti (Denkmal)1. Negli anni Trenta è presente, con la specificazione 'storico e artistico' e/o 'nazionale', nel linguaggio giuridico francese e spagnolo2 e, nel 1948,anche nella Costituzione italiana che all'art. 9 lo propone nella forma di "patrimonio storico e artistico della Nazione".
Nelle lingue neolatine si afferma definitivamente nel dopoguerra nella forma di 'patrimonio culturale dell'umanità' nella risoluzione della quinta sessione della Conferenza generale dell'UNESCO di Firenze (1951) per avere la sua massima diffusione dopo il 1972, a seguito dell'adozione della Convenzione per la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale dell'UNESCO. In inglese il termine Cultural Heritage o semplicemente Heritage, come in Francia patrimoine, sostituisce il precedente property3.
In Italia
L'espressione patrimonio culturale è proposta in Italia per la prima volta dalla Commissione Franceschini del 1967. Composta di due commi, la Dichiarazione I afferma: "Appartengono al patrimonio culturale della nazione tutti i Beni aventi valore di civiltà. Sono assoggettati alla legge i Beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e librario, ed ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà".
Nella Nota alla Dichiarazione, la Commissione specifica che il primo comma della Dichiarazione "costituisce un'enunciativa di principio che si riferisce a tutti i Beni culturali, quindi anche a quelli che o per natura - come i Beni immateriali (ad es. proprietà letteraria, diritti d'inventore) - o per ragioni storico-giuridiche - come i beni adibiti alla ricerca scientifica - non sono assoggettati alle disposizioni di legge, ma sono regolati da altre leggi. [...] Il secondo comma individua invece quei Beni che, avendo una realtà materiale, possono formare diretto oggetto di disciplina nella futura legge sui Beni culturali"4.
Mentre l'espressione 'beni culturali' si afferma già alla metà degli anni Settanta con la nascita nel 1975 del Ministero per i beni culturali e ambientali, per quella di 'patrimonio culturale' bisogna attendere il 2004 e il Codice dei beni culturali e del paesaggio: "la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura" (art. 1). L'art. 2 indica che esso "è costituito dai beni culturali e paesaggistici".
Il Codice unifica dunque in un unico genere quanto all'art. 9 nella Costituzione era distinto in "paesaggio" e "patrimonio storico e artistico della Nazione", associando contemporaneamente la tutela alla valorizzazione e finalizzandole entrambe a quanto nella Costituzione era solo correlato ("la promozione dello sviluppo della cultura", comma 1), oltre a sostituire la Nazione con la "comunità nazionale".
Materiale e immateriale
Sino a tempi molto recenti, a partire dalle Convenzioni UNESCO, la nozione di patrimonio culturale resta strettamente ancorata ai beni materiali ed è distinta dal patrimonio naturale. Dagli anni Ottanta emerge però la volontà di farne una nozione onnicomprensiva: "alla storia di un popolo, alla lingua, espressione vivente di una realtà, i costumi e le tradizioni, la letteratura scritta e orale [...] le conoscenze scientifiche e l'esperienza umana. [...] Il patrimonio è l'insieme dei principi e valori spirituali che cementano la vita in comune di un popolo e danno senso alla vita quotidiana"5.
Gli ultimi decenni del XX secolo, quando si sviluppa una forte attenzione per la memoria orale, e la cultura materiale e popolare, la nozione di patrimonio si estende a un numero sempre maggiore di beni, in quella che è stata definita "inflazione patrimoniale"6. Restano però distinti l'ambito del materiale, oggetto di produzione normativa, nazionale e internazionale, da quello dell'immateriale, pertinente più al campo della ricerca e della documentazione che non della 'tutela'.
La "svolta immateriale"7 è recente e si sviluppa a livello mondiale a partire nuovamente da una Convenzione UNESCO: quella del 2003 per "la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale": il "patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità" ed è costituito da "le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how - come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi - che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale".
Il patrimonio immateriale non può essere 'protetto' con le modalità applicate al patrimonio materiale, ma può essere 'salvaguardato' attraverso "misure volte a garantir(n)e la vitalità ivi compresa l'identificazione, la documentazione, la ricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione, in particolare attraverso un'educazione formale e informale, come pure il ravvivamento dei vari aspetti di tale patrimonio culturale"8.
In Italia (2)
Al di là delle meritorie iniziative ministeriali a sostegno del patrimonio immateriale in particolare da parte dell'Ufficio Patrimonio Mondiale UNESCO, per il Codice del 2004 il patrimonio culturale è costituito dai soli beni materiali. Nel 2008 l'introduzione dell'art. 7 bis ha parzialmente sanato questa assenza, prevedendo che "le espressioni di identità culturale collettiva contemplate dalle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e la promozione delle diversità culturali, adottate a Parigi, rispettivamente, il 3 novembre 2003 ed il 20 ottobre 2005, sono assoggettabili alle disposizioni del presente codice qualora siano rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le condizioni per l'applicabilità dell'articolo 10".
Sul piano normativo, in sostanza, non si sfugge da una visione del patrimonio culturale fondata sulla materialità dei beni che lo compongono, seppure in un quadro concettuale che ha pienamente accolto l'idea, promossa sin dagli anni Settanta da giuristi come Massimo Severo Giannini e Sabino Cassese, che un "bene culturale non è la cosa (res) che lo rappresenta. È una qualificazione giuridica, riferita a una cosa in ragione della cosiddetta 'realità' del bene culturale: una connotazione immateriale, una qualità incorporea, un'attribuzione che riflette un apprezzamento sociale di capacità rappresentativa della cosa, accertato ufficialmente e riconosciuto erga omnes. La cosa è il supporto, il bene culturale è il suo valore pubblico"9.
Non è tanto l'impianto normativo a costituire un problema: le leggi si possono migliorare e anche solo un maggior sostegno agli interventi dedicati al patrimonio immateriale sarebbe un segnale positivo. In questione è una concezione del patrimonio che - sebbene non solamente in Italia - permane fondamentalmente ancorata e limitata alla materialità dei beni, alla loro dimensione fisica, estetica, formale, in sostanza assai più alle cose che non ai valori.
La frantumazione del patrimonio culturale
Le norme non hanno solo forza normativa, ma anche un impatto culturale che si riflette nelle politiche e nelle pratiche, condizionandole tanto in Italia, dove "l'intera tradizione di tutela del patrimonio [...] passa attraverso testi giuridici"10.
Prendiamo le categorie con cui i beni culturali sono descritti e classificati, da ultimo nel Codice del 2004, in quella forma 'tradizionale' rilevata criticamente dalla Commissione Franceschini: suddivisi in mobili e immobili, i beni culturali restano 'cose', suddivise in base all'interesse: artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, oltre a essere rappresentati dalle raccolte di musei, pinacoteche, gallerie; dagli archivi; dalle raccolte librarie delle biblioteche; dalle cose riferite alla storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere; o che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; la numismatica; i manoscritti, gli autografi, i carteggi; gli incunaboli, le stampe e le incisioni, le carte geografiche e gli spartiti museali; le fotografie e le pellicole cinematografiche; le ville, i parchi e i giardini; le pubbliche piazze, vie, strade e spazi aperti; i siti minerari; le navi e i galleggianti; le architetture rurali (art. 10 del Codice). E, ancora, da: gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli ed altri elementi decorativi di edifici, esposti o non alla pubblica vista; gli studi d'artista; le aree pubbliche; le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d'arte; le opere dell'architettura contemporanea di particolare valore artistico; i mezzi di trasporto; i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica; le vestigia del patrimonio storico della Prima guerra mondiale (art. 11).
Questo sistema descrittivo porta a una frantumazione del patrimonio in una molteplicità di generi e tipi che ha orientato e condizionato il suo studio, la sua catalogazione, la sua tutela e valorizzazione, creando e rafforzando steccati di natura disciplinare o di competenza istituzionale (tra Stato e Regioni, ma anche tra Soprintendenze e istituti). Si è riflessa anche sulle professioni, definite in base a un sistema misto: disciplinare (archeologi, storici dell'arte, architetti, demoetnoantropologi, antropologi fisici), di istituto (archivisti, bibliotecari), di mestiere (restauratori, collaboratori restauratori di beni culturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali) (art. 9-bis) con la curiosa ma spiegabile, assenza degli storici e dei professionisti museali e anche delle professioni legate ai beni paesaggistici.
Un doppio movimento
Nessuna ricomposizione sembra possibile se il riferimento al patrimonio resta implicitamente quanto saldamente ancorato alla materialità dei beni, ai saperi e alle competenze specialistiche che ogni tipologia implica nella loro gestione e cura: dalla ricerca, all'ordinamento, alla conservazione, all'interpretazione.
È piuttosto nella dimensione intangibile del patrimonio culturale - propria ai beni materiali quanto a quelli immateriali - che essa diventa possibile. Ma richiede un doppio movimento.
Da un lato assumendo che il patrimonio culturale comprende indistintamente tutti i beni che ne fanno parte: mobili e immobili, materiali e immateriali (e dovremmo fermarci a questo livello di distinzione, evitando di andare oltre), non importa se assoggettabili o meno alla legge, se oggetto di misure di protezione, di salvaguardia o di promozione: "il patrimonio è quanto ci riguarda, una sorta di riserva di energie millenarie"11.
Dall'altro evitando di assumere il patrimonio culturale come un'astrazione, una nozione cui riferirsi in senso generico, ma individuando al suo interno i singoli oggetti patrimoniali che ne fanno parte. Tutti gli oggetti patrimoniali che la Convenzione di Faro del 2005, superando la distinzione fra beni materiali e immateriali, individua come patrimonio culturale e cioè "tutte le risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Esso comprende tutti gli aspetti dell'ambiente che sono il risultato dell'interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi"12.
"Tutti gli aspetti dell'ambiente": e cioè tutti gli oggetti cui attribuiamo un valore patrimoniale, siano essi materiali o immateriali, mobili o immobili, perché dotati di una riconoscibile e riconosciuta identità propria, e che possiamo considerare, oltre le distinzioni tra beni 'culturali' e 'paesaggistici', 'oggetti patrimoniali', unità minima di un insieme - il patrimonio culturale - da scomporre e ricomporre costantemente nelle sue relazioni interne e nel rapporto che ognuna delle sue innumerevoli parti ci consente di stabilire con l'umanità di cui è espressione e testimonianza, con quell'invisibile13 che andiamo cercando in esso per esistere come comunità, non importa se locale, nazionale o semplicemente umana.

1 A. Riegl, Il culto moderno dei monumenti. Il suo carattere e i suoi inizi, a cura di Sandro Scarrocchia, Abscondita, Milano 2011.
2 A. Desvallées, Émergence et cheminement du mot patrimoine, in "Musées et collection publiques", 208, 1995 [in versione aggiornata alla voce Patrimoine in Dictionnaire encyclopedique de muséologie, Armand Colin, Paris 2011].
3 M. Vecco, L'evoluzione del concetto di patrimonio culturale, Franco Angeli, Milano 2011 e Concetti chiave di museologia, a cura di A. Desvallées e F. Mairesse, Armand Colin, Paris 2016.
4 Per la salvezza dei beni culturali in Italia, vol. I, Colombo, Roma 1967.
5 P. Ramirez-Vazquez, L'avenir du patrimoine et le patrimoine de l'avenir, in ICOM 80. Actes de la 12ème Conference générale du Conseil international des musées, ICOM, Paris 1981.
6 N. Heinich, La fabrique du patrimoine, Éditions de la Maison des Sciences de l'Homme, Paris 2009.
7 G. Satta, Patrimonio culturale, in "Parole chiave", 49, 2013, pp. 1-18
8 UNESCO - Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. Conclusa a Parigi il 17 ottobre 2003.
9 G. Severini, L'immateriale economico nei beni culturali, in "Aedon - Rivista di arti e diritto on line", 3, 2015.
10 A. Emiliani, Una politica per i beni culturali, Einaudi, Torino 1973.
11 J.-P. Babelon, A. Chastel, La notion de patrimoine, Liana Levi, Paris 1994.
12 Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore dell'eredità culturale per la società, Consiglio d'Europa - (CETS NO. 199) FARO, 27.X.2005.
13 K. Pomian, Collezione, in Enciclopedia, Vol. III, Einaudi, Torino 1978.


Speciale lessico condiviso: il concetto di patrimonio - pag. 16 [2017 - N.58]

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