Museo Etnografico "Sgurì" - Ravenna

Musei etno-antropologici

Via degli Orsini n. 4 48020 Savarna Ravenna
Tel. 0544 533609
web http://www.museoetnosguri.it/wordpress/

Apertura: su prenotazione

Ingresso gratuito
Accessibile ai diversamente abili

Esterno del museoInterno del museoCapanna

La campagna di Savarna offre la possibilità di entrare nel mondo della cultura materiale e dell'artigianato rurale degli anni venti e trenta del Novecento, descritto dal linguista ed etnografo Paul Scheuermeier nella sua grande opera Il lavoro dei contadini.

La casa conserva gli usci originali con la rameta e e' carnaz e nell'ampia camera del camino si trovano la tavola da tiro, e' stracanton, il mobile 'primavera', gli stampi per i dolci, la salarôla. Sterminata è la raccolta di oggetti e attrezzi, dagli utensili da cucina (pignatte, paioli, tegami, mezzette, coltelli) a quelli usati per gli altri lavori domestici: per la produzione del pane (le rudimentali macine di pietra, la matra, la grâma, per la macellazione del maiale (i stricadur), per la lavorazione della canapa (e' gramet, i pètan), per la filatura e la tessitura (la roca, e' filaren, e' nasp, e' dvanadur, e' tlêr). La stalla e i finimenti per i bovini, i cavalli e i somari testimoniano l'importanza del bestiame, soprattutto come forza lavoro. Poi ci sono i mezzi di trasporto, da e' car (tre carri costruiti a Granarolo, tra i quali uno dipinto da Maddalena Venturi nel 1926, e uno bolognese del 1834) al calesse (e' baruzen), di cui il Museo conserva una ventina di esemplari.

Preponderante è lo spazio riservato al lavoro dei campi con gli attrezzi agricoli fondamentali: zappe, badili, vanghe, forcali, rastrelli, pale, l'arbégh, e' parghér. E in particolare quelli per la mietitura del grano (la fêlza, i bélz), per la trebbiatura (da e' targion o batdór a la màchina da bàtar), e per la produzione del vino: dalla vendemmia (con e' runchet) alla pigiatura dell'uva (la mustadóra), alla fermentazione, alla conservazione del vino in cantina. E ancora gli attrezzi per la raccolta delle barbabietole (la furcheta, e' sgranfgnì), per la fienagione (da e' fër da sghê a la sgadóra, da e' rastël a la rastladóra). Non mancano gli strumenti degli artigiani: il bottaio, il falegname, il calzolaio, il muratore, e' fradór, e' curdaren. Di particolare rilevanza è la bottega del fabbro di Savarna, Sante Errani (la butéga d'Tinen), recuperata nel 2006.

L'ideatore di tutto questo è Romano Segurini, figlio di contadini, cioè di Carlucio d'Sguren e della Norina d'Caravita (Mazzotti). Dopo essersi dedicato a ricerche paleontologiche, dal 1985 ha rivolto la sua attenzione alla cultura materiale romagnola, costituendo la raccolta esposta dal 2002 nella sua casa contadina di Savarna e nelle costruzioni annesse: il casone con le grandi travi di gattice e l'edificio che riuniva porcile, pollaio, stalla del somaro, forno e furnasëla.

Il Museo ha recentemente aggiunto due costruzioni in erba palustre che un tempo non mancavano nella corte rurale, e' capâñ (che si usava per il ricovero degli attrezzi), e la capâna (che serviva da cantina), fabbricati dall'ultimo costruttore di capanni, Alvaro Agostini di San Marco.

Mobili, oggetti e attrezzi non costituiscono un museo, ma l'arredo di una casa viva, abitata dai Segurini e frequentata dai figli, dai nipoti e dagli amici. Segurini spiega al visitatore la funzione dei vari attrezzi, ne dice i nomi dialettali, collega insomma le cose alle parole di quel dialetto attraverso cui si è trasmessa per secoli la cultura materiale, quel sapere contadino e artigiano che di voce in voce e di gesto in gesto è giunto fino a noi e la cui memoria può ancora essere salvata.

Il Museo "Sgurì" non è dunque il frutto di un'operazione 'folkloristica' e nostalgica che si nutre di stereotipi, ma, come ha scritto Giorgio Pedrocco a proposito dell'opera di Scheuermeier: "riflette la massiccia persistenza... di una organizzazione agricola tradizionale, dove produzione e consumo, agricoltura e artigianato rurale sono ancora strettamente connessi", e testimonia le trasformazioni avvenute nel corso del Novecento, con la meccanizzazione delle operazioni agricole. Questo sistema oggettuale costituisce insomma "il veicolo di lettura della storia della proprietà, del territorio, delle tecnologie rurali", e anche della storia linguistica locale. Insieme con Pedrocco auspichiamo che la ricerca avviata da Segurini possa essere approfondita, "per trarre da queste fonti apparentemente mute la storia degli 'organi produttivi dell'uomo sociale', per ripercorrere poi con maggiori elementi di conoscenza la storia delle strutture sociali".

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