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Dopo l'interesse suscitato dalla pubblicazione Ecomusei. Guida europea curata da Maurizio Maggi, si avvertiva l'esigenza di un incontro nazionale che facesse il punto sulla situazione di musei considerati di nicchia e forse anche incompresi.
Il convegno, oltre agli autorevoli interventi, che portavano un contributo dalle varie zone d'Italia, prevedeva, nella seduta conclusiva, l'intervento e il confronto con esperti europei.
Tra le varie iniziative, il programma contemplava la mostra dei poster degli ecomusei nazionali, le mostre-laboratorio, realizzate nelle cantine dello splendido borgo medievale di Ricetto di Candelo, riservate a realtà particolari di arti e mestieri, le presentazioni di minoranze linguistiche tramite esperienze del teatro della memoria Racconta terre e persone, escursioni ad alcuni ecomusei del biellese, serate con drammatizzazioni sulla vita delle filande e graditissime cene tipiche.
Il Centro Etnografico della Civiltà Palustre ha partecipato all'esposizione dei poster ed allestito una mostra di intrecci e trame medioevali e ottocenteschi, tipici delle valli ravennati, con relativo laboratorio di costruzione degli antichi colini del pesce e delle funi, realizzate con la sola manipolazione.
L'interrogativo condiviso da molti partecipanti all'incontro, e che io riporto con particolare riferimento alla mia terra di Romagna, poneva in discussione la validità della denominazione specifica Ecomuseo e la necessità di una certificazione d'autenticità.
Nell'Italia dei paesi, fatta di tante realtà particolari, è urgente tutelare le specificità territoriali, come non si è mai fatto prima d'ora.
La terra di Romagna ha preferito dare risalto a falsi folklori e tradizioni. Nelle molte manifestazioni predominano forme espressive che subiscono sempre più l'influenza d'oltre confine, considerandone solamente i risvolti economici, senza preoccuparsi di preservare usi e costumi locali. Nemmeno nei confronti delle forme abitative tipiche, delle strutture poderali in perfetta armonia col territorio, delle tipologie specifiche delle imbarcazioni d'acqua dolce e relativa scuola di maestri d'ascia si è applicata alcuna politica conservativa.
Allora gli ecomusei sono chiamati a svolgere il ruolo di tutori dell'autenticità, ad essere veri e non verosimili, per diffondere una politica di valorizzazione della cultura del territorio agendo come strumento didattico e favorendo la comunità interessata a riappropriarsi della propria identità.
Dalle numerose opinioni dei partecipanti, è emersa una volontà comune relativa alla necessità di definire la Carta degli Ecomusei, utile a sottolineare l'importanza della conservazione del bagaglio culturale locale e a definire questa categoria di musei "post-moderni" che nascono da impulsi popolari ed esprimono il disagio della perdita di identità dei territori. Questi musei non sono identificabili o catalogabili fra le raccolte, i parchi, le collezioni, né fra i musei cittadini o le case museo, l'ecomuseo non sta chiuso in un contenitore, ma l'importanza delle sue azioni sta nella forma espressiva e nella forza comunicativa che riesce a portare con sé. L'ecomuseo cambia il concetto di bene culturale in quello di patrimonio comune.
L'esigenza di chiarezza e di salvaguardia è evidente anche nella nostra regione, dove le poche realtà accreditate dalla guida europea, che da sempre operano stimolate dalla vocazione bioregionalistica, non sono riconosciute. Possiamo facilmente incontrare, sulla stampa informativa, il termine ecomuseo utilizzato per realtà che non rappresentano un legame forte e specifico con le caratteristiche del territorio in cui sorgono. Questo certamente non è rispettoso dell'impegno prestato da ciascuna comunità nella comunicazione fra generazioni, nell'importante intento di riappropriarsi dell'identità persa.
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