Il direttore del museo tra autonomia gestionale e cultura dell'adempimento

Claudio Leomboni

Lo speciale di questo numero di Museo in-forma è dedicato alla figura del direttore, il cui ruolo unitamente all'autonomia dell'istituto è stato fortemente valorizzato dalla recente riforma del MiBACT voluta dal Ministro Franceschini e formalmente conclusa per i musei con l'emanazione del decreto sull'organizzazione e il funzionamento dei musei statali (DM del 23 dicembre 2014). Come è noto successivamente sono stati selezionati con un bando internazionale i direttori dei venti principali musei e la riforma è stata completata in novembre con la presa di servizio dei 114 direttori dei musei statali non dirigenziali, che dovranno dotarsi di un proprio statuto e di una contabilità trasparente. In quest'ultimo caso, considerando i titoli, sono stati selezionati 48 storici dell'arte (42% del totale degli incaricati), 36 archeologi (31,5%) e 30 architetti (26,5%). La gestione dei musei statali privi di posizioni dirigenziali sarà suddivisa in aree funzionali, con un responsabile per le collezioni, lo studio, la ricerca e la didattica, il marketing, il fundraising, l'amministrazione e la sicurezza.

L'attuazione della riforma merita qualche ulteriore riflessione rispetto alle considerazioni che ho svolto nell'editoriale del numero 52 della nostra rivista. In particolare mi paiono inevitabili due domande: il direttore dei musei statali, che nei paesi più avanzati può contare ad esempio sul pieno governo del personale, potrà veramente dirigere un istituto autonomo o siamo in presenza di un ossimoro? La valorizzazione del ruolo di direttore di museo aprirà la strada al riconoscimento della professione del 'museante' - come acutamente è solito dire Daniele Jallà - e della sua associazione professionale?

Quanto alla prima questione, nell'editoriale sopra richiamato ho già interpretato la riforma nel senso dell'ossimoro sottolineando quanto sia difficile conciliare uno statuto di autonomia con la natura, confermata dalla recente riforma, di organo periferico del Ministero attribuita agli istituti e al Polo museale regionale. Su questo ossimoro pesa indubbiamente il prevalere di quello che gli analisti delle politiche pubbliche hanno chiamato paradigma amministrativo, tipico delle riforme italiane. Pesa però anche il contenitore, la 'forma organizzativa Ministero', scelta nel 1975, in luogo dell'amministrazione autonoma proposta ben cinquanta anni fa dalla Commissione Franceschini, per l'imposizione del Presidente del Consiglio di allora, più decisiva, come raccontò Massimo Severo Giannini, delle resistenze dei "tardigradi" e dei "velocisti incompetenti". Una ventina di anni dopo Marco Cammelli individuò perfettamente due aspetti controversi del nuovo Ministero nato dalle riforme Bassanini, che manteneva, appunto, la 'forma Ministero': anzitutto l'essere stato spesso metafora di una politica per la cultura, sicché si era auspicato il primo per avere la seconda; in secondo luogo l'essere una sorta di ossimoro istituzionale, in cui la legittima pretesa di autonomia degli istituti e della dimensione tecnico-scientifica si scontrava con il contesto ministeriale necessariamente gerarchico e disciplinato dal diritto amministrativo con annessi controlli amministrativi, contabili e finanziari. Di questo ossimoro sono state vittime proprio gli istituti culturali statali (archivi, biblioteche e musei), divenuti nei vari regolamenti di organizzazione "organi periferici del Ministero". Si tratta ora di capire se la tensione fra autonomia e gerarchia, fra autonomia gestionale e cultura amministrativa o dell'adempimento, acuita dall'enfasi del decisore politico sull'autonomia degli istituti e dei direttori non generi anche il ripensamento, poco probabile, della 'forma Ministero' o la ricerca, più probabile, di nuovi strumenti organizzativi (ad es. agenzie) all'interno del Ministero stesso. E noi naturalmente seguiremo con attenzione l'evolversi della situazione.

Per quanto riguarda il riconoscimento della professione mi pare che la recente riforma - si veda in particolare l'art. 4 del decreto di organizzazione - ripari, ma solo in parte in considerazione della fonte normativa, la lacuna dell'art. 9 bis del Codice dei Beni culturali che come è noto non nomina i 'museanti' fra i professionisti dei beni culturali. Da questo punto di vista ancor più lungo è il percorso che ICOM Italia dovrà compiere per diventare associazione rappresentativa a livello nazionale di una professione non regolamentata come la nostra. Un percorso scandito dal D.Lgs 206/2007 e dalla L. 4/2013, che richiede un forte impegno e un profondo cambiamento, anche della struttura associativa. D'altra parte non si danno 'museanti', a partire dai direttori, riconosciuti nella loro autorevolezza e autonomia senza una dimensione autenticamente professionale dei singoli e dell'associazione. Senza naturalmente rinunciare alla difesa degli istituti e dei valori che incarnano.

Buon Natale!


Editoriale - pag. 3 [2015 - N.54]

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