Beni culturali e società: per un'alleanza degli innovatori

La sintesi dell'intervento presentato a Ferrara l'8 maggio al convegno "Museo e comunità" organizzato da ANMLI

Giuliano Volpe - Presidente del Consiglio Superiore 'Beni culturali e paesaggistici' del MiBACT

Il mondo dei beni culturali in Italia è in movimento. I gravissimi problemi relativi ai drammatici tagli alle risorse e al personale e al blocco del turn over non sono ancora risolti, ma si respira un'aria nuova. La riforma del MiBACT voluta dal ministro Franceschini, nonostante i problemi e le tante critiche, apre nuovi spiragli e opportunità, grazie a un maggiore equilibrio tra tutela e valorizzazione, due attività tra loro fortemente intrecciate cui si attribuisce finalmente pari dignità, in particolare con la nuova centralità assegnata alla gestione dei musei e dei luoghi della cultura. In questo senso va il progetto di dar vita finalmente a un Sistema museale nazionale, con poli museali regionali e una rete di grandi musei dotati di autonomia amministrativa e gestionale.
La principale delle innovazioni riguarda una diversa considerazione della valorizzazione, da molti ancora oggi equiparata a una bestemmia, a una forma di volgarizzazione e contaminazione della 'purezza' della cultura. Si tenta, finalmente, di avviare una vera e propria 'rivoluzione copernicana': guardare, cioè, al patrimonio culturale con gli occhi dei cittadini, dei visitatori, degli utenti e non solo con quelli dei funzionari, dei soprintendenti, dei professori, degli specialisti. È un po' come, nella Scuola e nell'Università, guardare alla formazione con gli occhi degli studenti e non solo con quelli dei docenti.
Parlare di valorizzazione significa, infatti, soprattutto affrontare il tema del rapporto con i cittadini. I continui richiami al patrimonio culturale come 'bene comune' hanno spesso, infatti, il sapore della retorica. Lo straordinario articolo 9 della nostra Costituzione, al quale si fa giustamente continuo riferimento, andrebbe applicato in tutte le sue parti e non solo nella seconda, quella che afferma un principio fondamentale, cioè che la Repubblica "tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". Va recuperata anche la prima parte: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica". Nel dettato costituzionale si lega strettamente la tutela alla promozione della cultura, cioè a quella che oggi chiamiamo 'valorizzazione', una parola che nel 1947 non era ancora parte del vocabolario italiano dei beni culturali.
Una grande innovazione riguarda la comunicazione, che non andrebbe intesa come una sorta di concessione paternalista fatta dalle vestali della cultura al volgo, ma come un'azione necessaria e pienamente coerente con il significato reale della tutela e della valorizzazione. Un dovere, cioè, per mantenere viva la memoria e per rinnovare il senso del patrimonio culturale.
Quante volte capita di osservare visitatori che si aggirano spaesati nelle sale di un museo o tra un groviglio di muri di un parco archeologico? Si avverte in molti un senso di inadeguatezza, esclusi come sono dalla comprensione del significato stesso di reperti, di strutture, di siti.
I supporti didattici, quando presenti, sono il più delle volte poco chiari, concepiti per pochi, di fatto riservati solo a specialisti o a un pubblico particolarmente colto, concepiti nel tipico linguaggio 'esoterico', iper-tecnicistico, da 'addetti ai lavori'. Per non parlare di pinacoteche e musei d'arte, che, come ha denunciato anche Chiara Frugoni, "sono luoghi dove è preponderante un giudizio stilistico, che sfugge non solo al comune osservatore, ma anche a chi non sia proprio un addetto ai lavori".
 Da un lato prevale tuttora un'idea elitaria, per cui la divulgazione è considerata ancora oggi un'attività marginale, posta a un livello assai inferiore rispetto alla ricerca scientifica, dall'altro persiste una sostanziale impreparazione tecnica e culturale ad affrontare la comunicazione in maniera matura, utilizzando adeguatamente tutti gli strumenti e i linguaggi disponibili.
Servirebbe, inoltre, affermare definitivamente un approccio olistico al patrimonio culturale e paesaggistico, superando una concezione settoriale e disciplinare e considerando il paesaggio quale elemento comune, tessuto connettivo, filo unificante dei vari elementi del patrimonio culturale. Infine, è un errore continuare a contrapporre patrimonio culturale e sviluppo, perché la sfida consiste nel saper costruire nuove forme di sviluppo durevole e sostenibile grazie anche al patrimonio culturale.
Il nostro patrimonio va tutelato e conservato, ma questo dovere andrebbe attuato con la capacità dell'innovazione e il coraggio del cambiamento e non confondendo conservazione con conservatorismo.
Sono necessari una forte carica innovativa, il coraggio del cambiamento, la costruzione collettiva di un progetto che guardi al futuro e ai giovani, mentre al contrario sembrano ancora prevalere la conservazione di piccole rendite di posizione, la tendenza alla frammentazione in piccoli gruppi autoreferenziali, la chiusura difensiva in sempre più ristrette enclave, la sindrome da torcicollo che costringe molti a guardare, rimpiangendolo, solo al passato. Solo un confronto vivace e aperto può produrre quell'innovazione metodologica e teorica, le cui ricadute sarebbero importanti sia nella ricerca, sia nella formazione, sia nella gestione del patrimonio, sia nella creazione di nuove opportunità lavorative. La parola d'ordine è: 'costruiamo una alleanza degli innovatori', dovunque essi siano, prescindendo dalle appartenenze e dalle afferenze.

Appunti dai convegni - pag. 16 [2015 - N.53]

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