La fotografia fra conservazione e fruizione

Un cammino lungo e tortuoso da patrimonio culturale sommerso e frammentario fino al raggiungimento di un pubblico ampio e diversificato

Raffaella Biscioni - Assegnista di ricerca Dipartimento di Beni Culturali Università di Bologna

Che la fotografia rappresenti, per il mondo della cultura e per la società, un bene culturale di estrema importanza è ormai un fatto acquisito. Se guardiamo però alla storia dei suoi - quasi - 160 anni, scopriamo un percorso difficile e tortuoso, che ha portato solo nell'ultima parte della sua vita a una progressiva affermazione del suo valore culturale.
Per lunghi anni infatti il patrimonio fotografico è stato un patrimonio sommerso, conservato in modo frammentario, spesso grazie all'interesse privato e collezionistico. Solo dalla fine degli anni Settanta le istituzioni culturali pubbliche si sono poste il problema della conservazione e della valorizzazione dei propri patrimoni di immagini, in concomitanza con alcune importanti iniziative culturali che hanno coinvolto il grande pubblico e che aprirono un dibattito sugli aspetti storici, teorici e conservativi della fotografia.
Da quel momento, è stato compiuto un cammino importante, carico di conseguenze sia sul piano culturale che sociale, che ha permesso, nel 1999, di arrivare al riconoscimento legislativo della fotografia come bene culturale. In tale percorso di "emancipazione" che ha comportato una profonda riflessione sullo statuto della fotografia, l'apporto di strumenti tecnici relativi allo studio e gestione delle raccolte ha avuto una grande importanza: nel 1999, si ebbe la definizione della "Scheda F", il primo standard catalografico nazionale dedicato alla fotografia, emanata dall'ICCD - Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione. Ancora oggi utilizzata e valida nelle sue linee fondamentali, la scheda F rappresenta uno strumento flessibile e articolato, in grado di dare conto di tutta la complessità dell'oggetto fotografico, sia da un punto di vista teorico che materiale. Sebbene tale complessità abbia rappresentato spesso motivo di perplessità e critica fra gli addetti ai lavori, è bene ricordare che essa trovava la sua giustificazione nell'eterogeneità degli archivi fotografici in quanto a genesi, organizzazione, quantità e tipologia dei materiali.
Successivamente, il digital turn rappresentò un'ulteriore tappa avendo avuto effetto, in primo luogo, sulla natura stessa dell'immagine fotografica grazie all'invenzione della fotografia digitale. L'applicazione delle tecnologie informatiche per catalogare e digitalizzare la fotografia ebbe un grande impatto in termini di accesso e conservazione delle raccolte, permettendo di coniugare tutela e valorizzazione e coinvolgendo fototeche, archivi e musei in un dibattito sulla qualità dei servizi offerti e sulle strategie per migliorarli, determinando una forte spinta alla cooperazione fra istituzioni.
In particolare dopo l'avvento del web, si è ampliato l'accesso ai materiali e si è intercettata un'utenza più vasta e diversificata, con ricadute positive anche in termini di studio delle collezioni. L'aspetto conservativo ha goduto parimenti di questi nuovi strumenti digitali, poiché la qualità sempre maggiore delle immagini digitali ha reso sempre meno necessaria, per la maggioranza dell'utenza, la consultazione diretta dell'originale, operando una sorta di "conservazione indiretta" che riduceva ogni forma di stress dovuta a fonti di luce, agli sbalzi rapidi di temperatura, alle variazioni di umidità, ai rischi di danni meccanici.
Questo è risultato un aspetto fondamentale per il patrimonio fotografico storico poiché le immagini fotografiche presentano una fragilità intrinseca che per lungo tempo si è rivelato essere il limite più evidente per una sua larga fruizione. La marcata composizione chimica della fotografia analogica - l'immagine fotografica nasce grazie ad una serie di complesse reazioni chimiche - ne fa uno dei beni culturali più delicati, con esigenze di conservazione particolari e molto restrittive che prevedono, per i casi più estremi, l'archiviazione sotto zero e con un rigido controllo dell'umidità relativa.
Oggi, passata la fase pionieristica e sperimentale dei progetti di digitalizzazione e catalogazione, possiamo iniziare a tirarne le somme, partendo dalla considerazione che siamo davanti a un patrimonio culturale che presenta ancora tanti aspetti problematici, soprattutto legati alla mancanza strutturale di fondi e personale - a fronte di una quantità enorme di esemplari da catalogare e conservare - ma che presenta altrettante potenzialità, prima fra tutte la grande ricchezza che ne permette utilizzi diversi, in grado di toccare e intersecare i più diversi ambiti disciplinari.
La catalogazione fotografica ha permesso sempre più e sempre meglio di delineare i contorni del nostro patrimonio, ma la ricerca e definizione di nuovi strumenti non si è fermata: ha preso avvio da pochi mesi, ad esempio, la sperimentazione della "Scheda Fondo" (a cura dell'ICCD) per la descrizione di un fondo fotografico, che affronta alcuni dei nodi teorici che hanno creato più difficoltà in passato - ad esempio delineando la differenza concettuale fra raccolta, collezione, archivio, fototeca - e permette di dare conto della struttura del fondo attraverso i legami interni e le relazioni fra le diverse parti che lo compongono.
La speranza è quella che le istituzioni culturali continuino sulla strada intrapresa, garantendo alle raccolte fotografiche una corretta conservazione e trasmissione alle generazioni future, rendendole al contempo fruibili al più vasto pubblico.


Speciale Fotografia e Musei - pag. 11 [2014 - N.51]

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