Una terapia in tre mosse

Sistemi culturali territoriali integrati, nuove architetture di governance e qualità delle persone: i cambiamenti da attuare per non sprecare le opportunità che la crisi ci offre

Claudio Leombroni - Responsabile Servizio Sistemi informativi e Reti della conoscenza

In questo numero di Museo in-forma diamo conto di un significativo ampliamento del sistema museale. Nonostante la difficile congiuntura, diciamo pure la crisi del nostro tempo, è un segnale positivo, che avvalora le prospettive del sistema esposte nel convegno ravennate del 3 marzo 2014. In quell'occasione ebbi modo di dire che l'intersezione di crisi economica, crisi dei bilanci pubblici e crisi istituzionale delle Province non doveva essere interpretata come il collasso delle esperienze cooperative in ambito museale e bibliotecario caratterizzanti il nostro territorio da oltre due decenni, ma piuttosto come un'opportunità; un'opportunità per cambiare, per estendere la cooperazione oltre i limiti che abbiamo conosciuto: in senso verticale incrementando quantità e qualità dei servizi cooperativi per i musei e le biblioteche; in senso orizzontale integrando in unico sistema cooperativo gli istituti della cultura.
Che le crisi siano, contrariamente al senso comune, foriere di opportunità ce lo dice l'etimologia greca del termine, che richiama la capacità di giudizio, la scelta. Scegliere vuol dire sondare le opportunità, le alternative; vuol dire immaginare un futuro desiderabile, vuol dire esplorare. In questo senso la crisi, come ebbe a dire Einstein, costituisce la più grande benedizione per le persone e per le nazioni, perché reca con sé il progresso. Chi attribuisce alla crisi fallimenti personali, difficoltà pubbliche o private violenta il proprio talento, le proprie capacità, attribuisce più valore ai problemi che alle soluzioni e conseguentemente cancella la consapevolezza che senza crisi non ci sono sfide, non c'è merito e spesso solo difesa dello status quo e conformismo.
Assenza di crisi, dunque, equivale a immobilismo. "For all crises bring progress", sempre richiamando Einstein. Ed Einstein scriveva a ragion veduta, poiché aveva di fronte a sé le dure conseguenze della crisi economica - e non solo - del 1929.
Anche oggi stiamo vivendo gli effetti di una crisi iniziata all'incirca ottanta anni dopo la crisi che aveva conosciuto la generazione di Einstein; una crisi visibile in tanti aspetti della nostra vita e naturalmente anche nelle politiche per la cultura, nei risicati bilanci dei nostri istituti, nelle conseguenze politico-istituzionali del tentativo di controllare i flussi di spesa da parte dello Stato interpretabili come neo-centralismo ed estromissione della cultura o di quote significative di essa dal perimetro della spesa pubblica.
Una eccellente riflessione sulla crisi che stiamo vivendo, peraltro con diversi profili straordinariamente convergenti con le proposte cooperative avanzate negli ultimi due convegni annuali organizzati dal Sistema museale, è il recente libro di Fabio Donato dal titolo La crisi sprecata: per una crisi dei modelli di governance e di management del patrimonio culturale italiano pubblicato dall'editore Aracne di Roma alla fine dello scorso anno.
Donato parte da una considerazione di fondo, ossia che la crisi che stiamo vivendo non è una crisi ciclica, ma strutturale. È una tesi peraltro già argomentata in un altro saggio che mi sembra costituisca più in generale una indispensabile premessa al volume in argomento e di cui consiglio la lettura: mi riferisco a The financial crisis and its impact on the current models of governance and management of the cultural sector in Europe pubblicato nel n. 1 del "Journal of cultural management and policy" del 2011. Una crisi strutturale comporta la necessità di andare oltre le politiche di speding review e di avviare una profonda modifica degli assetti istituzionali, una reingegnerizzazione complessiva del sistema. Per il settore culturale significa innanzitutto irrobustire i legami con l'economia e cercare nuove forme di sostenibilità. Il rapporto tra economia e cultura non è mai stato facile, al di là dei luoghi comuni sul turismo culturale o sul marketing territoriale. Gli scenari disegnati da un noto pamphlet come Infarktkultur, che ha avuto una notevole eco anche per il suo carattere provocatorio, ha un fondamento non trascurabile soprattutto per gli effetti della crisi su un settore non abituato a confrontarsi con la sostenibilità economica in nome di pretese di valore. Eppure le cifre sono assai crude: i finanziamenti pubblici si sono ridotti di oltre il 20% - ma nel settore MAB, come purtroppo sappiamo, la percentuale è assai superiore - le sponsorizzazioni del 30% circa, i contributi delle fondazioni di origine bancaria del 35%. Si tratta di una situazione molto grave, ma i cui effetti più gravi non si misurano tanto nella chiusura fisica delle strutture, quanto piuttosto nella perdità di creatività, di progettualità: una condizione che Donato efficacemente connota con l'espressione "dead museum walking".
La terapia, o se vogliamo il cambiamento che dobbiamo imprimere al settore nel nostro paese per non sprecare le opportunità che la crisi ci offre, consta di tre interventi: sistemi culturali territoriali integrati, nuove architetture di governance e qualità delle persone, che potremmo declinare con l'adagio le persone giuste nei posti giusti. Questi tre elementi sono accomunati dall'obiettivo dell'equilibrio economico, della sostenibilità, che significa anche mettere in comune i costi, individuare le dimensioni territoriali adeguate per conseguire economie di scala significative e per potenziare le capacità per produrre ricavi.
A questo punto l'analogia con il lavoro avviato nel nostro territorio mi pare evidente. La crisi impone soluzioni territoriali ovvero calzate sui territori. Soluzioni nazionali o regionali più invasive o invadenti di una auspicabile intelligente regia che si sostanzi nell'abilitare o nell'assecondare pratiche virtuose sono inefficaci. L'equilibrio economico della cooperazione richiede soluzioni differenziate a seconda dei territori, geometrie variabili a seconda dell'adeguatezza delle soluzioni. Nel nostro caso l'idea di rendere più efficace ed efficiente la cooperazione all'interno della Rete bibliotecaria di Romagna estendendone l'entità e su di essa costruire un sistema culturale integrato che includa i musei (a partire dall'esperienza sistemica ravennate) e gli archivi trova nel libro di Donato più di una conferma. La stessa constatazione è valida per l'architettura di governance che abbiamo immaginato 'multiscala' e che non potrà non tenere conto del nuovo scenario istituzionale imperniato sulla centralità amministrativa comunale. In questo contesto l'architettura di governance traduce l'adeguatezza dell'area di cooperazione in relazione al servizio secondo la logica di allocare i servizi in base alla convenienza economica. In sostanza esistono servizi la cui efficacia ed efficienza può essere individuata, a seconda dei casi, nel singolo museo, in un sistema urbano, in servizi a livello di unione comunale o di area vasta. Ed è evidente che a quest'ultimo livello devono essere collocati i servizi che richiedono adeguate economie di scala.
Un sistema culturale integrato nei termini che abbiamo indicato negli ultimi due convegni del sistema museale richiede anche persone adeguate, come prevede il terzo intervento auspicato da Donato. Non è questione di giovani o vecchi, anche se un problema di elevata età media del personale dei nostri istituti esiste. È innanzitutto problema di competenze. Come diceva Einstein la vera crisi è data dall'incompetenza. Abbiamo bisogno di competenza, passione e voglia di cambiare, di immaginare il futuro.
Il sistema museale del futuro, parte di un sistema culturale integrato, dovrà essere capace di attirare competenze; e potrà farlo se saremo in grado di fondare il progetto su bibliotecari, 'museanti' e archivisti capaci di esplorare il cambiamento.

Speciale nuove adesioni al Sistema Museale Provinciale - pag. 9 [2014 - N.49]

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