Tra policentrismo e frammentazione

Realizzare poli archivistici intesi non come magazzini ma come istituti di conservazione di tipo nuovo

Stefano Vitali - Soprintendente Archivistico Emilia-Romagna

Di "poli archivistici" locali o regionali così come di "archivi della città" o di "città degli archivi" si parla da tempo, anche se non è sempre ben chiaro se con tali espressioni ci si riferisca semplicemente a depositi di dimensioni più o meno cospicue in grado di ospitare documentazione appartenente a più soggetti o a vere e proprie istituzioni archivistiche di nuovo tipo.

La maggiore popolarità che questa tematica si è conquistata recentemente è l'effetto della penuria di risorse che affligge il mondo degli archivi a fronte di una sempre maggiore necessità di spazi in grado di ospitare la crescente produzione documentaria. Si è invece un po' smarrita, negli ultimi tempi, la proposta culturale che animava i primi progetti formulati quasi un ventennio fa e che intendevano rappresentare un ripensamento del modello istituzionale, centrato sulla rete degli archivi di stato, attorno al quale si è andata configurando la conservazione del patrimonio archivistico dopo l'Unità. Tale ripensamento prendeva atto dello sviluppo, nella seconda metà del Novecento, di un diverso modello conservativo di natura policentrica, emerso, più che da un consapevole disegno istituzionale, da spontanee dinamiche sociali e culturali e caratterizzato da una diffusa disseminazione sul territorio di luoghi-istituti di conservazione pubblici e privati. Con la crisi di risorse e di prospettive politico-culturali, che ha investito negli ultimi dieci anni l'Amministrazione archivistica statale, gli stessi archivi di stato periferici, perdendo la centralità istituzionale e culturale che avevano nel passato, sono diventati una fra le molte componenti di questo nuovo modello di conservazione. Più che dall'appartenenza a una rete nazionale governata dal centro, la loro identità si definisce sempre più in ambito locale mentre l'efficacia della loro azione è direttamente proporzionale alla capacità di rispondere alle esigenze del territorio e di stringere legami con le istituzioni politico-amministrative e culturali che in esso operano.

Non esistono dubbi sui positivi effetti del policentrismo per la ricchezza, diversificazione e pluralità delle iniziative di conservazione, di valorizzazione, di promozione e di coinvolgimento di un pubblico di tipo nuovo. Non ne possono però ignorare alcuni limiti non solo in termini di possibile o effettivo spreco di risorse, di duplicazione di iniziative e di tendenziale abbassamento del livello qualitativo della produzione e dell'offerta culturale, causata dalla fragilità delle strutture che se ne fanno carico, ma soprattutto per il rischio che il policentrismo assuma le forme di una frammentazione sempre più esasperata e scarsamente motivata da ragioni storiche o culturali o dalla natura della documentazione conservata, una frammentazione che è disorientante per gli utenti e che impedisce una oculata gestione della conservazione e dell'iniziativa culturale.

Che "il policentrismo va[da] (...) in qualche modo "governato", se si vuole soddisfare le attese del pubblico nei confronti di ottimali servizi culturali", lo sosteneva già Isabella Zanni Rosiello nella I Conferenza Nazionale degli Archivi nel 1998. Governare il policentrismo significa sviluppare azioni di coordinamento fra le istituzioni archivistiche, ma oggi significa anche adoperarsi a contenere e a ricomporre il frazionamento conservativo, soprattutto quando ha scarse radici storiche e quando avrebbe invece forti motivazioni culturali la convergenza all'interno di un'unica istituzione archivistica delle fonti che documentano, nel loro complesso e con accentuati caratteri sistemici, la storia di una città o di un territorio: basti pensare agli archivi comunali o a quelli provinciali e di stato presenti in una stessa città o a istituti culturali affini che conservano la medesima tipologia di documentazione.

È innegabile che tale ricomposizione sia un'impresa complessa, da molteplici punti di vista, non ultimo quello giuridico-istituzionale. Essa può realizzarsi solo se sostenuta da una diffusa volontà politica, perseguita costruendo accordi, intese, collaborazioni fra stato, regioni, province, comuni e soggetti privati con l'obiettivo di creare poli archivistici intesi non come semplici, per quanto capienti magazzini, ma come istituti di conservazione di tipo nuovo. Il quadro istituzionale all'interno del quale sviluppare una simile iniziativa esiste già ed è l'accordo stipulato nel febbraio 2010 fra il MIBAC e le Regioni per la costituzione del Sistema archivistico nazionale che prevede all'articolo 3 la costituzione di tali poli. Purtroppo in moltissime realtà tale accordo è rimasto sulla carta così come sono rimasti sulla carta i Comitati di Coordinamento Regionali, che ai sensi dello stesso articolo dovrebbero essere istituiti su impulso delle Regioni.

Non c'è dubbio che questa inerzia sia oggi estremamente negativa e sia un'ulteriore conferma di come solo un'iniziativa dal basso, che contrasti le mai sopite tentazioni neo-centraliste, statali e regionali, possa offrire una prospettiva concreta ai poli archivistici.


Speciale Sistemi Culturali Locali - pag. 16 [2012 - N.45]

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