Bibliotecari e volontariato culturale

L'indubbio valore aggiunto del volontariato va considerato in stretto collegamento col tema della professione

Stefano Parise - Presidente AIB

Il tema del volontariato rappresenta un nodo problematico nel panorama delle molte questioni aperte che caratterizzano il panorama bibliotecario italiano. Utilizzati in maniera diffusa e un tantino spregiudicata a integrazione (ma spesso in sostituzione) del personale di ruolo fino al 1 gennaio 2005, quando l'abolizione del servizio di leva obbligatoria ha eliminato gli "obiettori di coscienza", i volontari hanno intensificato e diversificato la loro presenza negli ultimi anni soprattutto grazie all'enfasi data al ruolo del "terzo settore" nell'erogazione di prestazioni proprie dello stato sociale, nel momento in cui la ritirata dell'intervento pubblico allargava gli spazi per la sussidiarietà fra pubblico e privato.
Questa disponibilità diffusa e crescente, lungi dal sollevare un coro unanime di apprezzamento, suscita al contrario equivoci e proteste fra gli addetti ai lavori, che spesso avvertono la presenza di volontari come una minaccia e non come una risorsa. A mio modo di vedere le ragioni di questa reazione sono quattro, complementari e interagenti fra loro:
- l'uso improprio che molte amministrazioni, per insensibilità, scarsa cognizione delle esigenze del servizio bibliotecario e/o opportunismo, fanno dei volontari, intesi come scorciatoia per eludere l'assunzione di bibliotecari professionali;
- un malinteso senso di difesa della professione, che in realtà evidenzia un riflesso parasindacale teso a tutelare il lavoro in biblioteca più che la specificità dei contenuti professionali, soprattutto laddove ai volontari sono affidate incombenze di natura meccanicamente esecutiva;
- una difficoltà a rapportarsi con persone portatrici di background culturali ed esperienze professionali "altre", non di rado estremamente qualificate, che possono avere un effetto destabilizzante sulle consuetudini professionali (intese qui nel senso delle abitudini, dei meccanismi e degli schemi mentali consolidati);
- una pretesa di interventismo, che si ravvisa soprattutto nel volontariato connotato ideologicamente o politicamente nei confronti delle modalità di erogazione del servizio e dei processi organizzativi, che alimenta e giustifica il sospetto di indebite interferenze.
La presenza dei volontari in biblioteca appare quindi afflitta da un sovrappiù di cattiva coscienza mentre andrebbe affrontata senza pregiudizi e attese messianiche.
Solo per fare un esempio, un buon amministratore locale non sarebbe tale se trascurasse di impiegare al meglio la disponibilità - tanto più se organizzata - dei suoi concittadini a svolgere attività di rilievo sociale: fare compagnia alle persone sole, svolgere un servizio di accompagnamento, far attraversare la strada ai bambini davanti a una scuola... Tutte attività utili socialmente che producono vantaggi economici non trascurabili. Parimenti, un buon amministratore non sarebbe tale se, ad esempio, lasciasse che le segnalazioni al tribunale dei minori o ai servizi sociali fossero effettuate da un'associazione di volontari invece che da assistenti sociali e psicologi.
La disposizione al dono (del proprio tempo, lavoro e competenze) rientra nel tema -centrale per il futuro - dell'invecchiamento attivo e ha risvolti diretti sulla tenuta del sistema del welfare. L'anziano non è un individuo il cui sostentamento grava sulla collettività ma un individuo in grado di iniziare un percorso alternativo o nuovo. Il concetto di "longevità attiva" sta diventando il modo prevalente di vivere la terza e la quarta età, ed è presumibile che lo sarà sempre di più. Un invecchiamento attivo, il mantenimento di una rete di relazioni sociali grazie all'impegno nel volontariato ha un effetto preventivo su una serie di patologie e situazioni di disagio e di esclusione sociale che influenzano positivamente i costi dell'assistenza. Senza trascurare il fatto che il volontariato culturale risponde anche al bisogno di vivere attivamente l'esperienza culturale, al di là di qualsiasi calcolo.
Queste dimensioni devono essere raccordate con l'esigenza di garantire una gestione professionale dei servizi bibliotecari. La soluzione del problema è teoricamente semplice: è sufficiente riconoscere validità universale al principio che un volontario non può svolgere compiti riconducibili a quelli di norma espletati dal personale dipendente e che la sua presenza deve essere inquadrata all'interno di un rapporto fra biblioteca e associazioni o organismi del terzo settore, ai sensi della normativa vigente. Che si tratti di "Amici della biblioteca", o di "Gruppi di lettura", la loro richiesta di collaborazione - come ha scritto Giovanni Galli su Aib-cur del 17/02/12 - non è soltanto tesa a utilizzare la biblioteca "ma un poco la costruiscono con noi, specie nelle iniziative culturali".
Il valore aggiunto prodotto dal volontariato organizzato, quando sostiene le attività della biblioteca o svolge compiti che il personale non riesce a presidiare (la consegna di libri a domicilio, le letture nelle scuole, la raccolta fondi, l'organizzazione di attività culturali...), è talmente evidente da non richiedere particolari commenti. L'AIB, per mezzo del suo Osservatorio Lavoro e Professione, sta mettendo a punto un documento che fornirà indicazioni sull'impiego dei volontari alle amministrazioni titolari di biblioteche.
Il profilo più interessante, strettamente connesso al primo, riguarda tuttavia il rapporto fra volontari, ruolo del bibliotecario e auto-percezione di sé come professionisti.
Quello delle biblioteche non è certamente il primo ambito in cui si registra la presenza di volontari né quello in cui se ne fa l'uso più sistematico e intensivo. Il settore dell'assistenza pubblica, ad esempio, si avvale di una serie di figure che hanno mansioni specifiche e non di rado delicate. Essi operano a stretto contatto con il personale medico e paramedico, con mansioni complementari e integrative, eppure non risulta che i medici abbiano a sentirsi minacciati nella loro professionalità, status o prerogative dalla presenza di queste figure, dalle quali al contrario spesso dipende la buona (o cattiva) qualità del contesto entro cui il medico opera.
Il punto fondamentale è che quest'ultimo sa di avere prerogative e responsabilità che non potranno mai essere eluse o scavalcate da altri, perché sancite da leggi dello Stato. Il bibliotecario non si trova nella medesima situazione, il suo lavoro non ha ancora ricevuto un riconoscimento normativo e anzi, sempre più spesso, è declassato nei fatti (e negli emolumenti) al rango di un bidello, di un custode.
Se la percezione media della nostra professione è quella di persone "che leggono libri" o che "distribuiscono libri", non c'è da meravigliarsi che qualcuno possa pensare di utilizzare anche personale non qualificato (e magari non retribuito, come i volontari). Su questo versante, che ha implicazioni normative, l'AIB ha avviato un percorso che dovrà portare - speriamo entro l'anno in corso, con l'approvazione definitiva della legge sulle professioni non ordinistiche - alla certificazione delle competenze e al recepimento dei requisiti di appartenenza alla professione da parte degli enti titolari di biblioteche.
È più difficile, invece, lavorare sulle implicazioni culturali della questione, perché attengono alla percezione sociale della funzione di una biblioteca e del ruolo dei bibliotecari, che è a un tempo funzione e determinante dell'immagine che questi ultimi hanno di loro stessi. Se tutti noi fossimo sofisticati manager della mediazione informativa e se il livello medio delle richieste che il pubblico della biblioteca ci rivolge fosse tale da richiedere, rendere necessario e imprescindibile il possesso di tali elevate competenze e capacità, probabilmente i bibliotecari si troverebbero nella medesima condizione dei medici e non avrebbero ragione di paventare la presenza dei volontari.
Il tema dei volontari, quindi, deve essere visto in stretto collegamento con quello della professione. Bisogna avere la coscienza chiara che in Italia non si assumono abbastanza bibliotecari professionisti ma nel contempo, per onestà intellettuale, riflettere sull'attributo (professionisti) non tanto dal punto di vista della preparazione (un problema enorme, che chiama in causa il sistema universitario) quanto delle funzioni. Essere professionisti significa svolgere attività specialistiche che richiedono necessariamente adeguata preparazione ed esperienza, non delegabili all'ultimo venuto, anche se animato da buone intenzioni. Quali siano queste funzioni - e quali saranno fra dieci anni - è questione che interroga il futuro stesso delle biblioteche. La risposta può darci elementi per tracciare una linea di demarcazione fra ciò che in biblioteca può essere delegato ai volontari e ciò che rappresenta la nostra core activity.
Non riuscire ad individuare tale linea significa condannarsi all'incapacità di difendere la nostra specificità professionale, con il risultato di ridursi a battaglie che hanno il sapore della difesa di una privativa, poco ragionevoli e ancor meno sostenibili.

Speciale MAB e volontariato - pag. 15 [2012 - N.44]

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