Raffaele De Grada: una presenza a Ravenna

Il noto critico e storico dell'arte è scomparso lo scorso 1 ottobre

Maria Rita Bentini - Coordinatrice Accademia di Belle Arti di Ravenna

Raffaele De Grada (detto Raffaellino per distinguerlo dal padre pittore) era nato a Zurigo nel 1916 e fin dagli inizi della sua attività, negli anni '30, aveva affiancato il mestiere dello storico dell'arte e di critico d'arte all'impegno politico. Ideali che prima lo avevano avvicinato a "Corrente", in antitesi a "Novecento", e lo avevano portato a essere attivo come antifascista e partigiano, mentre nel dopoguerra si erano tradotti in attiva militanza nel Partito comunista, facendo di lui un intellettuale organico e un uomo di istituzione.

Ravenna gli deve un ricordo e una lettura, benchè non facile, dal momento che nel 1970, già professore a Brera, fu chiamato in città da Comune e Provincia a svolgere il ruolo di Direttore dell'Accademia di Belle Arti e della Pinacoteca. Vi rimase solo fino al 1975. Il recente volume dedicato alla storia dell'Accademia ravennate da me curato (Centottant'anni. L'Accademia di Belle Arti di Ravenna, testi di Sabina Ghinassi, Longo editore, Ravenna, 2010) ha già affrontato la problematica lettura di questo tempo. Qual è stato il progetto per l'arte contemporanea di De Grada a Ravenna, in parallelo nell'ambito della formazione e per l'attività espositiva della Pinacoteca?

"Mi chiamarono all'Accademia di Ravenna [affermava De Grada in un'intervista di qualche anno fa a Nicoletta Colombo, esemplificando, a proposito della Scuola degli Artefici di Brera] per cercare di rinvigorire un'istituzione che era in decadenza. Chiamai alcune personalità come Giò Pomodoro, Luca Crippa ed altri, che portarono l'insegnamento accademico sul piano dell'oggetto, del design, della formazione scenografica di tipo nuovo e devo dire che i risultati furono eccellenti. Ciò però non comportava la distruzione dell'opera di coloro che insegnavano pittura e scultura; anzi, costoro furono sollecitati a dare un carattere più formativo, anche in senso pratico (per esempio come si usa il colore, come si può passare dal disegno alla formazione plastica ecc.), che aiutò molto e da quella Accademia uscirono allievi veramente capaci. Questa proposta non fu poi accettata dagli accademici, che invece preferirono trovare una collocazione ancor più accademica..."

Quello di De Grada fu un progetto "pilota"? Evidentemente sì rispetto alla sostanziale immobilità degli studi accademici previsti dagli ordinamenti nazionali. Chiamò da Milano docenti per materie che profilano subito un "nuovo corso" legato agli orizzonti contemporanei delle professioni dell'arte (dallo scultore Giò Pomodoro per l'Oreficeria a Remo Muratore per la comunicazione visiva, da Luca Crippa per la Scenografia ad Aurelio Morellato per il Restauro), e innestano nuove personalità nel corpus dei docenti storici (Tono Zancanaro a Incisione, Gino Cortelazzo a Scultura). Un progetto che svolge il compito di un decisivo rilancio dell'Istituzione, alla quale viene assegnata una nuova sede accanto alla Pinacoteca (l'Accademia si sposta alla Loggetta lombardesca e lascia l'ala del complesso classense ridisegnata da Ignazio Sarti nel 1827 al Liceo artistico), mentre arriva il riconoscimento legale con Decreto Ministeriale del 23 agosto 1974.

L'altro verso della medaglia fu l'attività espositiva in Loggetta, che appare sganciata dalle tendenze contemporanee per privilegiare orizzonti figurativi in cui la relazione col reale rivela una radice ormai superata a partire dalle neoavanguardie. Pittura in Romagna dell'800 a oggi (1974) evidenzia un tragitto senza rotture di adesione alla realtà della provincia romagnola, mentre la mostra Mattia Moreni. Dodici anni di angurie 1964-65 conclude nel '75 la sua attività curatoriale a Ravenna, affiancato da Pierre Restany. Il testimone passerà a Giulio Guberti, e la svolta è radicale. Egli affianca coi dodici numeri della rivista "La tradizione del nuovo" la stagione espositiva che dal '77 all'81 porterà a Ravenna quindici mostre con artisti e curatori attinti alla ricerca artistica più attuale.

Ma questa è un'altra storia: il "vecchio" De Grada ha lasciato il campo, e sensori più attenti a registrare le estetiche contemporanee aprono gli orizzonti culturali di una città ormai decisamente più viva grazie anche al suo contributo.


Personaggi - pag. 8 [2011 - N.40]

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