Distretto culturale evoluto e sistemi museali

All'interno del sistema distrettuale il museo può svolgere due importanti funzioni: quelle di attrattore e di attivatore

Pier Luigi Sacco - Professore di Economia della Cultura - IUAV Venezia

La crisi del modello del distretto industriale porta con sé nuovi interrogativi e nuove sfide. In varie occasioni si è sostenuto che a fronte del declino produttivo del paese, una possibile via d'uscita andasse trovata in una riedizione del modello distrettuale, applicata questa volta al "tesoro nascosto" dell'Italia: il suo patrimonio culturale. Nasce così l'idea del distretto culturale come prolungamento della logica del distretto al settore della valorizzazione turistica dei beni culturali, rispetto ai quali l'Italia potrebbe vantare una "posizione dominante" in termini di dotazione a fronte del progressivo indebolimento dei fattori di vantaggio competitivo in altri settori.
Al di là degli ingenui quanto vaghi trionfalismi circa un supposto primato culturale di un paese che ha un livello di sviluppo umano tra i più bassi del mondo industrializzato, questa rivisitazione del modello distrettuale, purtroppo, non ha fondamento: il distretto "classico" è basato sulla produzione di beni, mentre la valorizzazione ha a che fare soprattutto con i servizi (a meno che non si voglia seriamente sostenere che il merchandising culturale e l'artigianato artistico possano creare economie analoghe a quelle del tessile o della meccanica); inoltre, i distretti industriali nascevano per auto-organizzazione delle forze imprenditoriali locali, mentre il distretto culturale nasce come operazione esterna alle logiche e spesso agli attori del territorio. Differenze non banali, che spiegano le deludenti ricadute economiche dei pure non numerosi esempi di applicazione concreta di questa impostazione "meccanicistica", il cui principale limite è quello di ritenere che la forma organizzativa distrettuale contenga in sé la capacità di generare sviluppo locale, mentre essa rappresenta invece semmai l'impronta organizzativa di una vitalità produttiva e sociale che, come ci insegna la letteratura ormai classica sull'argomento, preesiste ad essa e le dà forma e contenuto.
Se il modello di organizzazione distrettuale avesse un qualche senso nel campo della valorizzazione, quegli stessi territori che hanno dato vita ai distretti industriali, e che spesso comprendono aree ad alta densità di patrimonio culturale, avrebbero con naturalezza trasferito competenze imprenditoriali ormai consolidate ai nuovi campi di attività. Se questo non è avvenuto, è perché semmai le opportunità connesse alla valorizzazione economica della cultura, lungi dal potersi conformare meccanicamente al modello distrettuale, presentano problemi del tutto analoghi a quelli che hanno contribuito alla messa in crisi del modello stesso del distretto.
Sappiamo ormai fin troppo bene che la concorrenza dei paesi emergenti richiede alle realtà socio-economicamente più avanzate di mantenere sul proprio territorio soltanto le attività di filiera più direttamente connesse alla direzionalità, all'innovazione e alla creatività, e che anzi la priorità principale è quella di una radicale riconversione innovativa e creativa dell'intero sistema economico locale. Sappiamo anche che questo scenario, che richiede capacità di investimento e una visione strategica sofisticata e orientata ai risultati di medio-lungo termine, si scontra con la logica della piccola e media impresa familiare distrettuale orientata al breve termine e capace di concepire l'innovazione più che altro come piccoli miglioramenti incrementali di prodotti e di processi già esistenti.
È possibile rivitalizzare il modello distrettuale in modo da permettergli di fronteggiare le nuove sfide dell'innovazione radicale e non più incrementale? Se dobbiamo guardare alle esperienze internazionali più avanzate in questo senso, dobbiamo constatare che è proprio la cultura a giocare un ruolo di primo piano, e che il ruolo economico della cultura va cercato anche e soprattutto nella capacità di rendere questi processi di riconversione creativa ed innovativa socialmente sostenibili nel lungo termine: la cultura è cioè un fattore di sistema la cui funzione è quella di creare nuove modalità di interfacciamento e nuove complementarità produttive tra quelle "teste" di filiere diverse che identificano il nuovo modello di specializzazione territoriale, e che sono accomunate da una stessa tensione verso l'esplorazione del nuovo e la capacità di canalizzarlo in una cultura di processo e di prodotto.
Nasce così quella che potremmo chiamare la prospettiva del distretto culturale evoluto: un modello distrettuale del tutto nuovo, nel quale il genius loci si manifesta non nella specializzazione mono-filiera ma nell'integrazione creativa di molte filiere differenti, e in cui la cultura non ha valore in quanto crea profitti ma perché aiuta la società ad orientarsi verso nuovi modelli di uso del tempo e delle risorse e così facendo produce a sua volta economie. È il passaggio dal modello dissociato, tipico del contesto italiano, della cultura per i turisti al modello della cultura per i residenti, che non esclude il turismo culturale ma lo integra in una catena del valore più ampia e più solida che non rinnega il passato industriale ma contribuisce a ringiovanirne la visione e le prospettive strategiche.
La cultura agisce dunque nel nuovo scenario post-industriale come un vero e proprio 'agente sinergico' che inquadra i singoli interventi in una ridefinizione complessiva dell'identità del sistema territoriale e delle comunità che lo abitano. Le varie iniziative culturali diventano un linguaggio che, coinvolgendo profondamente la dimensione razionale come quella emotiva, aiuta i cittadini a capire come la trasformazione del territorio e della città implichino una potenziale trasformazione delle possibilità di vita, delle opportunità professionali, degli obiettivi esistenziali da perseguire. La cultura è sempre di più un laboratorio di idee che procede con una logica simile a quella della ricerca scientifica: apre nuove possibilità di senso, indica nuovi modelli di comportamento, di azione, di interpretazione del mondo.
Il museo è senz'altro una delle realtà su cui si concentrano più speranze quando si pensa ad un nuovo modello di distretto culturale che sappia inserire i meccanismi dell'offerta culturale all'interno di uno scenario vitale e competitivo di sviluppo economico locale. Ma se il museo non può avere all'interno del modello distrettuale il ruolo di centro di profitto, quale ruolo può svolgere in concreto? Una casistica internazionale ormai ampia mostra come il museo abbia due funzioni importanti all'interno del sistema distrettuale: quella di attrattore e quella di attivatore. Il museo si presta particolarmente a svolgere queste funzioni in quanto esso diventa il luogo in cui si esprime con la massima compiutezza ed efficacia tutto il mondo simbolico su cui si costruiscono le moderne catene del valore: in altre parole, nel museo si realizzano proprio quelle condizioni ideali da 'laboratorio di ricerca e sviluppo' in cui si elaborano e divengono accessibili, al di fuori di immediati obiettivi commerciali, tutte le declinazioni più interessanti ed innovative dell'universo simbolico della cultura, che vengono poi 'metabolizzate' all'interno della propria catena del valore dal sistema produttivo.
Da un lato, il museo agisce come attrattore nella misura in cui è in grado di aumentare la visibilità del sistema locale a cui appartiene, contribuendo all'orientamento di flussi turistici, di decisioni di investimento, di copertura mediatica ecc., tutte risorse preziose nei moderni processi di sviluppo locale. Dall'altro, il museo agisce come attivatore nella misura in cui le sue iniziative e i suoi contenuti sollecitano l'emergere di nuovi progetti imprenditoriali, la formazione e la selezione di nuove professionalità, il varo di progetti di responsabilità sociale rivolti alla comunità, la rilocalizzazione di attività produttive e residenziali all'interno del sistema urbano.
In tutti i casi di studio di successo, tanto quando emerge con particolare forza la funzione "attrattore" che quella "attivatore", si nota chiaramente che, accanto alla necessaria capacità di catalizzare energie e risorse provenienti dal di fuori del contesto locale, il museo riesce con successo a mobilitare e coinvolgere attivamente anche il pubblico e le risorse economiche del sistema locale che lo esprime. In altre parole, il museo che 'funziona', a prescindere dalla sua vocazione e dalle sue caratteristiche specifiche, è un museo che è vissuto e utilizzato come risorsa in primo luogo da coloro che, vivendo nella città o nel sistema metropolitano che lo ospita, godono di condizioni fisiche di accesso facilitate e privilegiate.
Piuttosto che inseguire formule predefinite, occorre allora fare in modo che sia il dialogo tra il museo e il suo territorio a definire il modello di uso dello spazio e dei tempi del museo stesso. Un dialogo che presuppone un forte investimento del territorio in una crescita delle proprie competenze culturali, della propria capacità progettuale, dell'apertura al nuovo e alle esperienze internazionali.

Contributi e riflessioni - pag. [2008 - N.31]

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