Garibaldi in Romagna: un museo diffuso

I luoghi della Trafila garibaldina presentano una serie infinita di reliquie generate da ricostruzioni a posteriori e da leggende locali.

Giuseppe Masetti - Direttore del Centro Culturale Le Cappuccine di Bagnacavallo

La dichiarazione dell'International Council of Museum (ICOM) di Seoul 2004 nel definire i campi specifici di ricerca prevede come novità, rispetto alla precedente stesura di Buenos Aires 1992, quella di estendere le competenze del museo anche alle testimonianze immateriali dell'umanità e del suo ambiente. Un concetto ancora difficile da applicare esattamente ma forse rappresentabile meglio in circostanze come questa, del bicentenario garibaldino, in cui la Romagna, ed il territorio ravennate ancor di più, superano la media nazionale per segni di memoria, citazioni e tributo d'onori.


I momenti ed i luoghi della Trafila garibaldina, tra le Valli di Comacchio, le pinete ravennati ed i borghi collinari, sino al confine toscano, rappresentano una sorta di "museo diffuso" che supera i termini contingenti del passaggio del Generale, ed annovera una serie infinita di reliquie generate da ricostruzioni a posteriori e da leggende locali. Entrambi questi fenomeni si inseriscono bene nel culto del Risorgimento e nelle sue fortunate rielaborazioni, passate indenni attraverso tutte le stagioni della storia nazionale.

Gli eventi del 1849 hanno fatto scrivere a George Macaulay Trevelyan nel 1909 che "nella Romagna il patriottismo dei contadini era saldo come quello delle popolazioni urbane dell'Umbria, e da quel momento in poi la vita di Garibaldi fu passata di mano in mano con devozione religiosa, da un pover'uomo a un altro, fino a che egli per opera loro si trovò fuori dalla regione dove si dava una caccia più accanita che altrove".

L'esito positivo della Trafila diventava in qualche modo, nella mentalità popolare romagnola, elemento di compensazione al mancato successo della Repubblica Romana. Il nascondimento dell'Eroe è certamente uno dei pilastri della cultura politica di questo territorio che nell'adesione popolare, nell'abilità dei mestieri irregolari (barcaioli, bracconieri e pinaroli) e nella complicità dei luoghi trova i motivi di un fronte comune contro lo straniero occupante: un mito che avrebbe animato, anche un secolo dopo, il movimento resistenziale dei Garibaldini di Bulow.

Un tempo si sarebbe detto genius loci, ma oggi forse è più opportuno parlare di contesto ambientale favorevole, che ha lasciato numerose tracce di reperti e di miti, di cultura materiale ed immateriale, sospese intorno alla presenza del Garibaldi in fuga e del Garibaldi che torna in Romagna dieci anni dopo a raccogliere volontari per la sua impresa.
Il mito rimane sostanzialmente legato alla Trafila, che diventò orgoglioso testo teatrale nell'opera di Massimo Drusi, oppure a piccoli episodi come quello descritto da Olindo Guerrini nel 1907 di un Garibaldi che, tornato a Sant'Alberto nel 1859 per raccogliere i resti mortali di Anita, si alza dal pranzo ufficiale, preparato in suo onore, per andare ad abbracciare il medico del paese, colpito da orribile erisipela, ma disperato al pensiero di morire senza poter stringere la mano dell'Eroe.

Sono conseguenze di quel mito la devozione, quasi religiosa, con la quale vengono conservati presso le nostre residenze municipali alcuni piccoli cimeli garibaldini, come una camicia rossa in Comune a Conselice, oppure il conto del ristorante a Russi, dove aveva pranzato il Generale; testimonianze passate attraverso raccolte civiche e private, ed infine ai numerosi Musei del Risorgimento.

Oltre alla intitolazione di strade, piazze e busti diffusa in tutta Italia, ci sono in Romagna 118 epigrafi garibaldine scolpite sul marmo, censite accuratamente da Adler Raffaelli nel 1986, disseminate sui 96 Comuni delle tre province. Ben 58 di queste segnalano il passaggio o la presenza diretta dell'Eroe, mentre le altre 60 sono omaggi a garibaldini o riconoscimenti all'epopea risorgimentale; in tutto sono comunque più numerose della somma dei Comuni che le ospitano.

Al momento della sua morte ogni istante trascorso anni prima dal Generale in Romagna venne riscontrato con un'incisione marmorea: le case che l'ospitarono o i balconi da cui si affacciò divennero ben presto il sostegno ad una leggenda popolare che si autoalimentava nel tempo. Così apprendiamo dal marmo che il giorno 22 settembre 1859 Garibaldi fu a Massa Lombarda, poi a Lugo, dove affacciatosi sul retro della Rocca, parlò:

contro le insidie diplomatiche
e con in cuore i fatti d'Italia
incitò il popolo a libertà
suscitando una schiera di 600 volontari
.

Il giorno successivo fu di nuovo a Ravenna, a Mandriole e sostò a Bagnacavallo, ove sarebbe tornato anche nel marzo del 1860 per arringare il popolo dal balcone del Palazzo Comunale.

Ma è dai nostri archivi comunali più completi che emergono tutti i segni del lutto pubblico che attraversò il Paese alla notizia della sua morte, avvenuta a Caprera il 2 giugno 1882. Nel giro di pochi giorni partirono da Ravenna 4 telegrammi inviati ai Sindaci di tutti i Comuni. Nel pomeriggio del 3 giugno il Sottoprefetto Caldella scriveva: "Ordine S.E. Ministro Istruzione Pubblica prego disporre immediata chiusura scuole oggi segno di lutto morte illustre Generale Garibaldi seguita iersera ore otto". E il giorno successivo " S.E. Ministro Presidente Consiglio avvisa che festa Statuto sarà differita al 18 giugno".
Il 5 giugno "S.E. Ministro Istruzione Pubblica ordina lezioni scuole si riprendano martedì". Infine il 6 giugno "Funebri generale Garibaldi giovedì 8 corr.te. Prego dirmi subito numero persone che in rappresentanza corpi morali intendessero recarsi a Caprera per assegnare loro posti piroscafo che partirà domani 6 pom. da Civitavecchia".

Per il rinvio della Festa dello Statuto e la presenza di rappresentanti comunali alle esequie di Caprera si conservano presso l'Archivio Storico di Bagnacavallo, oltre che i telegrammi dell'epoca, anche i manifesti a stampa, come pure dell'immediata costituzione, fin dal 10 giugno 1882, di un Comitato Esecutivo per l'erezione di una "lapide monumentale" ad iniziativa della locale Società dei Volontari Reduci dalla Patrie Battaglie.
Il 1° luglio di quello stesso anno il Consiglio Comunale votò all'unanimità per le spese di missione dei rappresentanti inviati al funerale, per partecipare alle spese di costruzione della tomba a Caprera e per stanziare alcuni sussidi a favore di scuole ed ospizi, in memoria dell'Eroe.

Se l'ispirazione democratica era alla base di tante iniziative, concluse spesso con la deposizione di una lapide, nel 1882 anche la larga adesione pubblica ai funerali di Garibaldi registra ormai un segno dei tempi, decisamente mutati rispetto al decennio precedente o alla scelta dell'esilio. Una grave crisi economica stava attraversando il Paese ed a pochi mesi dalla sepoltura del Generale una nuova legge elettorale avrebbe triplicato a Ravenna la popolazione degli aventi diritto di voto. In questo collegio, nelle elezioni dell'ottobre 1882, sarebbe stato eletto Andrea Costa, primo socialista italiano ad entrare in Parlamento: la voce ribelle della Romagna passava dalle piazze alle Aule e il mito del leader popolare, dopo Garibaldi, trovava un nuovo testimone a cui affidare la proprie aspettative di emancipazione e di rappresentanza sociale. Ma questa non era più storia per i musei.


Speciale Epopea Garibaldina - pag. 8 [2007 - N.28]

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