Quando la donazione è anche una questione di... immagine

Considerazioni intorno alle opere d’arte protette dalla normativa sul diritto d’autore

Diego Galizzi - Conservatore del Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo

È un dato di fatto che gran parte dei musei in Italia, quale che sia la loro tipologia, condizione giuridica o ente di appartenenza, fonda oggi la propria politica di accrescimento delle collezioni soprattutto su iniziative di donazione da parte di collezionisti privati o, nei casi di musei d’arte contemporanea, da parte degli stessi autori delle opere. In modo ancor più stringente questa considerazione vale per i musei più piccoli, che soprattutto di questi tempi non sembrano in grado di riservare adeguate risorse a politiche di accrescimento che non si basino, appunto, su episodi di donazione.
Eppure spesse volte proprio questo genere di evento può nascondere potenziali elementi di conflitto fra museo e donatore (o suoi eredi) se, sia pur in buona fede, le parti non tengono adeguatamente conto delle attuali normative sul diritto d’autore. Lo spunto per trattare di questa problematica nasce dalla mostra William Hogarth e la commedia della società borghese, in corso presso il Centro Culturale “Le Cappuccine” di Bagnacavallo. Il grande Maestro inglese, infatti, dimostrando grande modernità di pensiero, fu il primo in Europa a porsi il problema della tutela dei diritti degli autori delle opere d’arte, facendosi promotore di un’apposita legge (la cosiddetta legge Hogarth) che garantiva agli artisti la proprietà esclusiva delle loro invenzioni originali per un periodo di quattordici anni. La norma, che metteva finalmente al riparo l’artista da episodi di riproduzione indebita delle sue opere, entrò in vigore il 25 giugno 1735.
Oggi in Italia la materia è regolata dalla legge sul diritto d’autore (L. 633/1941 e successive modifiche) che fra le varie tipologie di prodotti dell’ingegno tutela “le opere della scultura, della pittura, dell’arte del disegno, della incisione e delle arti figurative similari”. In base a questa normativa è stato più volte rilevato un latente conflitto fra gli interessi dell’autore, o dei suoi eredi, e quelli del museo che detiene l’opera d’arte. Il conflitto nasce dal principio di separazione e indipendenza fra i diritti di utilizzazione economica dell’opera (riconosciuti in maniera esclusiva all’autore) e i diritti connessi alla titolarità dell’opera fisicamente intesa, espresso dall’art. 109: “la cessione di uno o più esemplari dell’opera non importa, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti di utilizzazione economica, regolati da questa legge”.
Tali diritti di utilizzazione economica, esercitabili anche dagli eredi entro il termine di 70 anni dalla morte dell’autore, ricomprendono i diritti di riproduzione (in qualsiasi formato, anche il digitale), i diritti di pubblicazione (in cataloghi, riviste, banche dati) e i diritti di prestito e noleggio (anche a fini espositivi). Pare dunque inevitabile che, in seguito a donazioni di opere d’arte contemporanea, il museo si debba misurare coi diritti di utilizzazione altrui per molte delle normali attività istituzionali che in qualche modo presuppongono l’utilizzo dell’immagine dell’opera stessa. A meno che non diversamente pattuito, cioè, a meno che fra le clausole della donazione (la forma scritta è richiesta a probationem) non sia espressamente prevista la cessione a titolo definitivo o l’autorizzazione all’esercizio di tali diritti, cosa che deve essere fatta per ognuno di essi, singolarmente, poiché è principio fondamentale della legge che i diritti esclusivi siano fra loro indipendenti.
Può sembrare paradossale, ma la stessa facoltà del museo di esporre nelle proprie sale gli oggetti protetti dalla legge sul diritto d’autore appare piuttosto controversa. La legge non prevede esplicitamente fra i diritti di utilizzazione economica anche quello di esposizione, ma è convinzione generalizzata che lo si debba comprendere a sua volta fra le facoltà esclusive dell’autore.
Negli ultimi anni, tuttavia, la giurisprudenza si è espressa pressoché unanimemente a favore della liceità da parte del museo ad esporre al pubblico le opere senza espresso consenso dell’autore o dei suoi aventi causa. Presumendo, infatti, che le finalità istituzionali del museo siano note alle parti al momento dell’atto di donazione, non avrebbe senso procedere all’acquisizione dell’oggetto, o di una collezione di oggetti, disgiuntamente dal diritto di esposizione che, è evidente, rappresenta la precipua finalità del museo stesso.

Speciale donazioni - pag. 0 [2005 - N.24]

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