Compleanno al museo

Compie trent’anni il Museo del Lavoro Contadino nelle vallate del Lamone-Marzeno-Senio, allestito nella Rocca di Brisighella

Giorgio Cicognani - Responsabile del Museo del Lavoro contadino di Brisighella

Ricorre fra breve il trentennale della nascita del Museo del Lavoro Contadino nelle vallate del Lamone-Marzeno-Senio, sorto grazie al contributo della Comunità Montana dell’Appennino faentino e dell’Amministrazione Comunale di Brisighella. La sua collocazione all’interno dei locali della Rocca fu una scelta dettata essenzialmente da due motivazioni: innanzitutto il recupero di un monumento storico lasciato in abbandono, ma anche la necessità di conservare un prezioso patrimonio che andava via via perdendosi e che per secoli aveva contribuito alla crescita della vita non solo sociale ed economica, ma anche culturale delle comunità rurali delle nostre vallate. Il consenso all’iniziativa fu unanime non solo da parte di numerosi studiosi locali, ma anche di quelli nazionali, soprattutto illustri architetti dell’Istituto Italiano dei Castelli e membri del Consiglio Superiore di Antichità che plaudirono all’iniziativa.
L’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna e il Presidente del Consiglio Regionale ne approvarono lo Statuto; l’inaugurazione ufficiale avvenne il 27 giugno 1976.
L’allestimento lasciò intatta la lettura del monumento senza alterarne le caratteristiche architettoniche, anzi, in molti casi privilegiandole, come ad esempio nella parte dell’antica cucina e della sala del forno. Come sottolineato dalla presentazione di Pietro Albonetti nella prima guida: «Il luogo che materializza l’aspetto più direttamente violento del vecchio dominio (la rocca dei soldati, dei capitani, della stanza della tortura) era stato invaso dai materiali dei dominati, degli artigiani, dei braccianti».
Il percorso museografico, a differenza di altri musei etnografici e demoantropologici, è stato concepito in base ad un duplice criterio: da un lato ad una disposizione tematica degli strumenti di lavoro, dall’altra ad una attenta lettura filologica di alcuni vecchi ambienti della nostra cultura popolare. Questo allestimento si è caratterizzato in questi anni come un punto forte del nostro Istituto soprattutto per una comprensione più facile non solo per le scolaresche, ma anche per un più vasto pubblico.
Nel corso degli anni le visite sono andate sempre aumentando toccando punte di oltre 21.000 visitatori annuali e, grazie anche alla recensione di numerose guide turistiche italiane e straniere, l’obiettivo di potenziare il turismo è stato raggiunto. Il patrimonio si è arricchito con numerose donazioni ed acquisizioni e in tutti questi anni l’Istituto, pur sopravvivendo con minimi mezzi finanziari è riuscito a tener vivo l’interesse del pubblico tramite le sue pubblicazioni e i sussidi audiovisivi come quello sul ciclo del pane. Altro aspetto importante è stata la creazione di una collana di studi sul territorio denominata “Quaderni”, che si può ritenere unica in Emilia-Romagna a cui hanno collaborato molti studiosi con ricerche in varie discipline.
Grazie a finanziamenti della Regione Emilia-Romagna e dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali, il Museo è stato potenziato con mezzi di sicurezza più idonei alla salvaguardia ed è stato avviato un sistema di catalogazione che sta confluendo nella banca dati regionale.
Sempre più numerose sono oggi le sollecitazioni, sia da parte dei donatori, sia da parte di numerosi studiosi ed appassionati perché sia riaperto il Museo, chiuso da alcuni anni per restauri dell’intero monumento, facendo salve però le caratteristiche precedenti pur migliorando alcuni aspetti riguardanti la didattica. In questa nuova fase sarebbe auspicabile concretizzare quei collegamenti con gli istituti superiori e alcune facoltà universitarie italiane che già in passato avevano richiesto una collaborazione nel campo della ricerca storico-economica.
La stessa facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna, tra i cui compiti istituzionali rientra la formazione di professionisti con specifica preparazione nelle discipline storico-artistiche ma anche di pubblica amministrazione, troverà quel laboratorio atto alla creazione di nuovi conservatori di musei sempre più impegnati a confrontarsi con i problemi quotidiani nel mondo della conservazione delle opere d’arte.
Un eventuale ampliamento nei locali della Torre dell’Orologio, potrebbe favorire quest’ultimo aspetto, inoltre risolverebbe l’annoso problema della didattica, rivolta alle scuole primarie, già più volte lamentato e mai risolto a causa della mancanza di spazi che ancora non ha trovato risposta adeguata. L’aspetto della didattica in questi anni è stato di basilare importanza non solo nella nostra Provincia, ma in tutta la Regione provenendo ormai le scolaresche da tutta Italia.
I musei etnografici, che sono sorti in particolare dopo gli anni Settanta per la conservazione di un patrimonio che si stava perdendo per l’incalzare del terziario, a differenza di altri musei presentano oggetti e strumenti di non facile comprensione da parte delle nuove generazioni. Ecco perché si sottolinea ancora una volta che è sempre più fondamentale la ricostruzione di alcuni ambienti e non solo un’esposizione tipologica. È auspicabile mantenere una parte del Museo all’aperto come già fatto in precedenza sull’esempio dei più avanzati complessi del Nord-Europa. Nel censimento effettuato qualche anno fa dall’IBC sono stati considerati oltre 700 metri quadrati espositivi di corte all’aperto che ora non si possono ridurre. Un museo “a cielo aperto” con possibilità di protezione da agenti atmosferici che possa accogliere di tanto in tanto mostre tematiche e iniziative culturali organizzate dal museo stesso.
Si richiede ancora una volta a tutti gli amministratori di risolvere quanto prima l’annosa questione dell’acquisizione dell’area sottostante affinché, nei prossimi anni, si possa realizzare quel polo culturale interdisciplinare; già da tempo auspicato, che favorirebbe senza alcun dubbio il turismo e andrebbe incontro alle esigenze degli operatori del settore (realizzano, ad esempio, il centro di documentazione per il dialetto, un laboratorio didattico, una fototeca, un’esposizione di prodotti locali, una guida per gli agriturismi). Rispettare e conservare questo patrimonio culturale significa non solo onorare la memoria di chi ci ha preceduto, di chi ha sofferto in silenzio, di chi ci ha consegnato una società migliore, ma soprattutto è nostro dovere trasmettere alle future generazioni questa grande ricchezza.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 14 [2005 - N.23]

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