Continueremo a chiamarli musei?

Le “buone pratiche” previste dagli standard potrebbero non essere alla portata dei piccoli musei locali, nati per la salvaguardia di collezioni pregevoli

Giuseppe Masetti - Direttore Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo

Fra i 35 musei che oggi compongono il nuovo Sistema Museale della Provincia di Ravenna la stragrande maggioranza è data da piccole realtà, in gran parte di natura pubblica, spesso decentrate, dotate di scarse risorse economiche, alle prese con assillanti problemi di personale, accessibilità e dotazioni tecnologiche. Sono nati negli ultimi decenni, figli di un’attenzione diffusa verso le “tracce di civiltà” all’interno di ogni comunità territoriale, più che di ponderate analisi gestionali proiettate nel tempo.
Si sono chiamati da subito Musei perché ancora non esisteva una precisa normativa che disciplinasse l’uso di questo termine e delle responsabilità connesse. Tuttavia nelle intenzioni di chi li ha messi al mondo volevano rispondere soprattutto ad una azione preliminare che non era tanto la gestione organizzata delle funzioni museali, quanto piuttosto l’individuazione e la salvaguardia di collezioni pregevoli, significative per le vicende identitarie dei nostri paesi, quasi una forma di resistenza no-global rispetto all’omologazione dei consumi e delle arti.
Dobbiamo prestare attenzione a queste genealogie, anche se d’impronta più civile che nobiliare, perché in fondo sono anch’esse una caratteristica, un’autorappresentazione della nostra regione in cui convivono, senza una capitale, infinite e vivacissime microrealtà municipali. Il primo obiettivo della stagione di governo locale in cui sono nati tanti piccoli musei era di salvare quei reperti, quei saperi e quelle opere d’arte, evitare di abbandonarle ai mercatini del modernariato o nei magazzini di Prato “…dove tutto finisce” come direbbe Curzio Malaparte.
Così in Emilia-Romagna sono sorti gran parte degli oltre 350 musei locali, di cui un terzo dispone di locali inferiori ai 200 mq, la metà non supera i 400 mq ed il 70% ha meno di 5.000 visitatori l’anno. Alla base di questi piccoli centri culturali c’è più che altro un senso nobile delle funzioni civiche, un attaccamento ai segni delle origini oppure un buon rapporto tra pubblico e privato che si sono sostituiti alle Soprintendenze nell’attribuire valore a certe raccolte locali. Sono occorsi molti anni per spostare il ragionamento dal vincolo patrimoniale alla continuità delle fruizioni, ad azioni nuove come la ricerca, la gestione degli inventari o la didattica. Comincia a farsi strada un rapporto diverso con il tempo da amministrare e il problema non è più quello di salvare bensì quello di gestire il salvato in maniera più produttiva.

Ad un anno e mezzo dall’approvazione degli standard e obiettivi di qualità per biblioteche, archivi e musei previsti dalla L.R. 18/2000 ed in previsione di risorse sempre più modeste per il sostegno a queste piccole realtà, credo sia giunto il momento di fare considerazioni diverse in particolare per il settore dei musei. L’utilizzo di tale denominazione impone infatti, a partire dagli anni prossimi, di rispondere a requisiti generali minimi, obiettivi di miglioramento e buone pratiche che potrebbero uscire dalla portata di molti musei locali, come ad esempio le 24 ore di apertura settimanale, comprensiva del sabato o della domenica, il piano annuale delle attività didattiche, l’autonomia gestionale, il carattere di istituzione permanente ed operativa dotata di personale qualificato.
Non si tratta di norme ferree e discriminanti ma solo di riferimenti orientativi per valutare anche le ipotesi di sviluppo e sopravvivenza che i nostri musei dovranno garantire nel tempo. Tutti però dobbiamo pensare in modo nuovo alle risorse umane, disponibili dentro o fuori dalle Amministrazioni Pubbliche, che costituiranno sempre più il vero potenziale dei musei minori, in grado di mettere in valore quei piccoli tesori scelti e organizzati da chi ci ha preceduto.
In ogni caso cominciamo anche a pensare che, se non potremo più chiamarli Musei, non sarà certo offensiva la definizione legale di “collezioni aperte al pubblico”.

Speciale standard museali - pag. 12 [2004 - N.21]

[indietro]