Il Museo che non c'è: palazzo Mazzolani

Da più di cinquant'anni la città discute inutilmente sull'opportunità della creazione di un Museo archeologico a Faenza

Chiara Guarnieri - Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna

Il progetto per la creazione di un Museo Archeologico a Faenza è presente nel dibattito culturale della città da più di cinquant'anni: già il Medri nel 1943 ne auspicava la creazione, idea ripresa in seguito da più parti, fino alla creazione nel 1980 di un articolato programma espositivo dei materiali faentini e del comprensorio, previsto all'interno di Palazzo Mazzolani, sito in corso Mazzini 93. In questi anni si è tornati a discutere sulla creazione di un Museo, senza purtroppo addivenire ad alcuna decisone. Nell'edificio ora sono ospitati i depositi, affidati in gestione alla Soprintendenza Archeologica dell'Emilia-Romagna, in cui è custodito il materiale archeologico di proprietà dello Stato. Il complesso dei materiali conservati a Palazzo Mazzolani è estremamente interessante e copre un arco cronologico vastissimo, che va dalla preistoria alla tarda antichità; infatti, sebbene il nucleo urbano di Faenza sia nato in età romano-repubblicana, l'asse portante della demografia pre-protostorica è la vallata del Lamone, che ci restituisce già dal paleolitico tracce della presenza umana (manufatti in selce). Di eccezionale importanza è l'insediamento di Fornace Cappuccini, nelle immediate vicinanze di Faenza: l'esplorazione archeologica, iniziata nel 1978, ha portato alla scoperta di una struttura abitativa riferibile al neolitico (5000-4500 a.C. circa) circondata da un ampio fossato, di strumenti in selce e ossidiana e di vasi della cultura della ceramica impressa. Il fossato artificiale venne poi colmato intenzionalmente in età successiva (1500-1000 a.C.) ed occupato da sepolture con abbondante materiale associato, testimoniante la lavorazione della ceramica, della pietra e dell'osso. Sul Colle di Persolino, a pochi chilometri dal precedente insediamento, è stato individuato e scavato, tra il 1957 e il 1960, un vasto agglomerato di capanne con focolari, attribuite all'età del bronzo medio e recente (1450-1100 a.C.); il sito che, favorito per la sua posizione allo sbocco in pianura della valle del Lamone, era già stato interessato da forme insediative sin dal neolitico antico, presenta inoltre, sotto i resti di una villa romana, le tracce di un edificio in ciottoli interpretato come luogo di culto probabilmente etrusco. Da ultimo, nel 1997, nelle vicinanze del centro urbano, in un'area denominata "Le Cicogne" sono stati portati in luce numerosi pozzi databili all'età del Bronzo che hanno restituito materiali perfettamente integri. Numerosissimi sono i materiali di età romana: Faenza infatti si sviluppò in età tardo repubblicana lungo la Via Emilia, tracciata nel 187 a.C., configurandosi come nodo commerciale di primaria importanza tra pianura e Appennino e costituendo probabilmente uno dei punti di approvvigionamento per la flotta militare di Augusto, stanziata nella vicina Classe (Ravenna). Per quanto riguarda la cultura materiale, sono rappresentate con particolare abbondanza tutte le classi ceramiche di età romana, dalla vernice nera prodotta in zona dal II a.C., alla terra sigillata, di cui sono conservati interessanti frammenti decorati, alle anfore e alla ceramica comune da cucina. La prosperità economica della città trova riscontro nella ricchezza delle sue abitazioni: fra il materiale di età romano-imperiale, i pezzi più significativi sono sicuramente i mosaici pavimentali rilevanti non solo da un punto di vista estetico-formale, ma anche in un'ottica puramente scientifica, in quanto costituiscono una campionatura di pavimentazioni che va dall'età augustea al VI secolo d.C. In età repubblicana prevalgono invece le pavimentazioni in cocciopesto, interrotte da brevi motivi geometrici a mosaico o da inserti di frammenti marmorei policromi. A Palazzo Mazzolani si trovano i mosaici di Vicolo Pasolini, riferibili a due ambienti: si tratta di soglie policrome, che delimitano tappeti musivi in bianco e nero, a geometrie estremamente rigorose il cui disegno si è rinvenuto anche nella sinopia di preparazione, anch'essa conservata nei magazzini. Accostabili a queste pavimentazioni i mosaici, di finissima fattura, rinvenuti nel 1995 nella domus di palazzo Pasolini, oggetto di una mostra a Faenza nel dicembre dello scorso anno. Interessante per raffinatezza compositiva è il mosaico di Via Cavour del III sec. d.C., che rappresenta una scena di caccia raffigurante un leopardo che insegue una gazzella. Attribuibile all'età tardoantica è il pavimento di via Dogana (V sec. d.C.) databile ad un momento in cui la città, dopo un periodo di decadenza in seguito al pericolo delle invasioni, assiste ad una ripresa economica in concomitanza dell'insediamento della corte di Ravenna. Si tratta di un edificio palaziale a pianta articolata: tra le pavimentazioni, tutte estremamente curate, spicca il mosaico del vestibolo, al cui centro è raffigurato Achille tra Priamo e Briseide. Appena posteriori, intorno alla metà-fine V sec. d.C., sono i mosaici della domus di Via Ubaldini. Il mosaico più tardo di Faenza è quello di Piazza Martiri della Libertà, attribuito al VI sec. d.C., appartenente ad un ambiente di vastissime dimensioni: in un tappeto geometrico policromo compaiono due riquadri, uno raffigurante pavoni affrontati ai lati di un vaso, l'altro con una scena di caccia. Da queste brevi note, nelle quali si è voluto sinteticamente dare conto della qualità e dell'importanza dei ritrovamenti archeologici conservati a palazzo Mazzolani, il cui numero è in continuo aumento, si può desumere come Faenza da tempo necessiti di un Museo Archeologico della città e del suo comprensorio, mancanza tanto più sentita anche a fronte dell'esistenza nelle limitrofe città di Imola e Forlì di analoghi musei.

Speciale siti e musei archeologici - pag. 8 [1999 - N.6]

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