Da terre lontane

Le antichità del Museo Venturini di Massa Lombarda sono un esempio emblematico del collezionismo tardo-ottocentesco di marca borghese

Fiamma Lenzi - Istituto Beni Culturali

Nel 1881, appena pochi anni prima della morte, Carlo Venturini acquista in Massa Lombarda una piccola dimora con l'idea di collocarvi - come lui stesso scrive nel testamento - "pochi libri, oltre tremila circa... ed alcuni oggetti appartenenti alla Storia Naturale, all'Archeologia, alla Numismatica, alla Pittura e diversi lavori d'arte". Giunto il tempo del riposo e del ritorno alla terra natìa, dominante è dunque il pensiero di dare vita ad una biblioteca e ad un museo ove collocare gli oggetti, i cimeli, le memorie riunite nel corso di un'intera esistenza votata all'esercizio della professione e contrassegnata da numerosi spostamenti da una città all'altra. Esemplare spaccato delle vicende, dei criteri, delle motivazioni culturali che hanno costituito la linfa vitale del collezionismo tardo-ottocentesco di marca borghese ed erudita, le raccolte artistiche del Venturini sono profondamente intrise di quell'imperante eclettismo del gusto che domina mode e costumi dell'ultimo scampolo di secolo e rifluisce prepotentemente nei diversi filoni in cui la collezione si articola. Vi spicca per consistenza ed interesse antiquariale un nucleo di antichità riferibili a svariati centri della penisola italiana, ma anche ad alcuni siti del vicino Oriente. Intensi contatti sociali e culturali con esponenti della classe dirigente dell'epoca, con studiosi e viaggiatori, favoriti anche dalla professione medica e dagli incarichi diplomatici per conto della Tunisia e del Venezuela consentono infatti al collezionista di partecipare alla vita di alcuni organismi associativi di grande prestigio (Accademia Etrusca di Cortona, Istituto Bartolomeo Borghesi, Società Italiana di Archeologia e Storia, Istituto numismatico e antiquario di Buenos Aires). E' grazie a queste relazioni, allo scambio di doni e di cortesie con conoscenti ed amici che egli riunisce presso di sé documenti e testimonianze del passato, intensificandone la raccolta soprattutto nei due decenni centrali del secondo Ottocento. Contrassegnato da una spiccata predilezione più per gli oggetti della quotidianità che non per le manifestazioni dell'arte antica, questo segmento di collezione si compone soprattutto di vasi dipinti, piccoli bronzi, reperti fittili, elementi architettonici e frammenti marmorei, rare iscrizioni. Ben rappresentate sono le ceramiche greche, magnogreche e italiote, la cui presenza si spiega con la riscoperta archeologica della Magna Grecia avviata già a partire dalla prima metà del XIX secolo e il cui principale bacino di alimentazione è per il Venturini la città di Rudiae. Attraverso i buoni uffici di conoscenti di Lecce e di Taranto giungono parecchi materiali, fra i quali alcuni prodotti delle officine di Gnathia. Altri reperti provengono dalla Lucania occidentale per il tramite di Monsignor Macchiaroli, ottimo conoscitore dell'archeologia del Vallo di Diano e iniziatore di una raccolta a fondamento dell'attuale museo civico di Teggiano. Nella hydria a figure rosse dell'atelier di Assteas e Python, attivo a Paestum nel terzo venticinquennio del IV sec. a.C. si riconosce il pezzo di maggior interesse. A ricordare la siciliana Selinunte, con i suoi celebri templi, sono tre piccole lekythoi della bottega del Pittore della Megera databili al secondo quarto del V sec. a.C. Troviamo poi buccheri etruschi, ceramiche a vernice nera di varia produzione, insieme a raccolte più organiche come quella delle lucerne - in gran parte romane - o dei balsamari di età ellenistica. Dal canto suo, la piccola bronzistica offre un'ampia esemplificazione degli impieghi della lega metallica più usata nell'antichità sia per gli oggetti di ornamento personale e di uso domestico (fibule, campanelli, chiavi, appliques, fibbie) sia per la plastica votiva destinata ai santuari e agli altari casalinghi. Uno sguardo ancora all'origine degli oggetti ci dà conto dello spaziare nei secoli e nella geografia del mondo antico di questa archeologia che, con parole della museografia ottocentesca, potremmo definire "extraregionale". Ancona, Alessandria, Acqui, Aquileia, Chiusi, Campobasso, Fano, e poi Roma. Un'importante occasione per arricchire la collezione si presenta infatti al Venturini quando si aprono nella capitale gli scavi per la costruzione del Ministero delle Finanze. Conservata sotto cornice, secondo una "artistica" disposizione a mo' di quadro, una serie di manufatti silicei riassume simbolicamente la preistoria degli Abruzzi, perpetuando il ricordo di Concezio Rosa, pioniere della ricerca paletnologica e delle esplorazioni nella Valle della Vibrata. Poi, al di là del mare, Costantinopoli ove risiede l'amico conte Grati e l'Egitto, dal quale il bolognese commendator Muzzi direttore delle regie poste egiziane si premura di inviare esotici cimeli di una civiltà plurimillenaria. E, per finire, le testimonianze archeologiche dell'Africa settentrionale che la carica di console onorario della Tunisia rendeva più agevole avvicinare. Arriva dalla lontana Tunisi una messe di materiali che abbracciano l'intero arco di vita della gloriosa Cartagine, prima fiorente metropoli punica, poi illustre colonia romana. Un posto di assoluto rilievo, anche per il rarissimo numero di presenze simili in collezioni pubbliche italiane, spetta al piccolo gruppo di stele votive del tofet cartaginese, che ben si prestavano con le loro raffigurazioni cariche di significati e con le iscrizioni dall'arcana grafìa a svelare usi, costumi e riti di quell'antico popolo dominatore del Mediterraneo.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [1999 - N.6]

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